Parlando a Claremont (New Hampshire) durante la Giornata dei Veterani dell’11 novembre 2023, l’ex presidente Donald Trump ha giurato una terribile vendetta contro i nemici che – a suo dire – corrodono gli Stati Uniti.
“Prometto che estirperemo i comunisti, i marxisti, i fascisti e gli estremisti di sinistra che si annidano come parassiti dentro i confini della nostra nazione, mentendo e truccando le elezioni”, ha dichiarato.
“Le minacce esterne sono meno gravi e pericolose rispetto a quelle che vengono dall’interno”, ha proseguito, “perché con un leader capace, intelligente e risoluto, a paesi come la Russia, la Cina e la Corea del Nord passerà la voglia di darci fastidio”.
Come hanno fatto notare diversi osservatori, il linguaggio di Trump ricorda in maniera inquietante quello usato dagli autocrati del secolo scorso. “Disumanizzare gli avversari e negare loro il diritto costituzionale di partecipare alla democrazia in modo sicuro è proprio ciò che fanno i dittatori”, ha spiegato il ricercatore Timothy Naftali alWashington Post.
Quello dei “parassiti” non è l’unico discorso “mussoliniano” – come l’ha definito la storica Ruth Ben-Ghiat – pronunciato da Trump nelle ultime settimane. A ottobre, durante un comizio a Cedar Rapids (in Iowa), l’ex presidente ha associato i migranti all’abuso di alcool e di sostanze stupefacenti, accusandoli di “avvelenare il sangue della nostra nazione”.
E ancora: in un’intervista alla rete televisiva in lingua spagnola Univision ha fatto intendere che, in caso di vittoria, userebbe l’FBI e il Dipartimento di giustizia per arrestare gli oppositori politici – incluso il presidente Joe Biden – e gli ex alleati che non hanno condiviso le bugie sugli inesistenti brogli delle presidenziali del 2020.
Come ha dimostrato l’assalto al Congresso del 6 gennaio del 2021, Trump è una figura politica da prendere assolutamente sul serio. E in vista delle presidenziali del 2024, che stando ai sondaggi si preannunciano combattute, un recente articolo dell’Economist l’ha definito “il più grande pericolo mondiale”.
Per la testata britannica, infatti, un secondo mandato sarebbe infinitamente peggiore del primo. Tra guerre, crisi climatica e crisi economica, questa è una fase storica molto pericolosa e complicata che non ha certamente bisogno di un personaggio come Trump.
Da un punto di vista interno, poi, l’eventuale affermazione elettorale “non farebbe altro che solleticare i suoi istinti più distruttivi”. Molto probabilmente innescherebbe una crisi costituzionale, visto che Trump potrebbe usare i poteri presidenziali per auto-graziarsi nei quattro procedimenti penali che lo vedono imputato.
Con un Partito repubblicano ridotto a un comitato elettorale trumpiano, inoltre, “i suoi piani non incontrerebbero molta resistenza”. E infine, chiosa l’Economist, rieleggere un personaggio del genere – ben sapendo di cos’è capace – non farebbe altro che compromettere “l’autorità morale degli Stati Uniti”.
In altre parole: il ritorno di Trump alla Casa Bianca rischia seriamente di demolire la democrazia statunitense – e non solo quella.
Progetto 2025: il piano per il secondo mandato di Trump
A differenza del primo mandato, quando nessuno si aspettava che Trump vincesse davvero le elezioni (Trump compreso), un eventuale secondo mandato sarebbe preparato fin nei minimi dettagli.
Intorno all’ex presidente si è infatti radunata una vasta rete di associazioni e gruppi ultraconservatori, capeggiata dalla Heritage Foundation (uno dei più importanti think tank della destra statunitense).
Come ha riportato il Washington Post, questa rete sta stendendo un piano per la transizione presidenziale chiamato Project 2025 (“Progetto 2025”), che include proposte politiche in tutti i campi – dall’economia alla politica estera – e addirittura la selezione del personale per la nuova Casa Bianca. Naturalmente, è richiesta la massima fedeltà a Trump.
Secondo il New York Times, Trump si sta poi avvalendo di avvocati e giuristi compiacenti, in grado di tradurre in termini legali i punti programmatici più estremi e potenzialmente incostituzionali. L’ex presidente, riporta il quotidiano, ha sempre sostenuto di essere stato frenato dalla sua stessa amministrazione, composta in buona parte da repubblicani più tradizionali – o comunque non esplicitamente eversivi.
È anche per questo, ad esempio, che Trump vorrebbe arrestare il suo ex procuratore generale Bill Barr, reo di non aver sostenuto le falsità sulle elezioni rubate, e l’ex capo dello stato maggiore congiunto Mark Milley, che ha sempre cercato di limitare i danni dell’ex presidente.
Ma la persecuzione giudiziaria degli avversari e dei “traditori” non sarebbe che l’inizio. Trump, riporta sempre il New York Times, è intenzionato a sigillare i confini degli Stati Uniti e rendere praticamente impossibile migrare nel paese.
Oltre alla conclusione del famigerato muro al confine con il Messico, il piano per contrastare l’immigrazione prevede – tra le varie cose – l’utilizzo massiccio delle forze dell’ordine e della Guardia nazionale per catturare e deportare migranti irregolari; la costruzione di campi di detenzione in cui ammassare le persone prive di documenti; e restrizioni significative alla possibilità di chiedere il diritto d’asilo.
Il Project 2025 contempla poi l’occupazione pressoché totale della macchina amministrativa federale sulla base di una controversa dottrina giuridica chiamata “esecutivo unitario”.
Secondo questa teoria, il presidente degli Stati Uniti eserciterebbe un potere pressoché totale su ogni ramo della burocrazia federale. Una sua eventuale implementazione, su cui ci sono seri dubbi di incostituzionalità, permetterebbe a Trump di piazzare ovunque uomini e donne a lui fedeli.
Tra le varie proposte dei think tank, infine, ce n’è una particolarmente inquietante: l’impiego dell’esercito sul suolo americano per il mantenimento dell’ordine pubblico, cioè la repressione del dissenso.
Stando a un articolo del Washington Post, il primo atto della nuova presidenza Trump potrebbe essere l’applicazione – attraverso un ordine esecutivo – dell’Insurrection Act, una legge del 1807 (aggiornata per l’ultima volta nel 1870) che permette al presidente di mobilitare l’esercito federale in casi eccezionali.
L’ex presidente voleva utilizzarla già durante le rivolte del 2020 scatenate dall’omicidio di George Floyd, ma alla fine aveva rinunciato. In un comizio del luglio del 2021 si era lamentato di essere stato bloccato dalle resistenze interne alla sua amministrazione, e garantito che la “prossima volta” avrebbe schierato i militari per strada.
Ecco: un eventuale secondo mandato di Trump sarebbe caratterizzato dalla totale assenza di freni e contrappesi.
Il “cesarismo rosso” e il rischio di una dittatura negli Stati Uniti
La necessità di avere mano libera è dettata anche da una visione del mondo – e della politica interna statunitense – completamente distorta, caratterizzata da teorie del complotto violente ed estreme.
Non si tratta di una novità in assoluto; piuttosto, siamo di fronte a una progressiva e inesorabile radicalizzazione. Trump ha sempre usato strategicamente il complottismo, ma dalle elezioni del 2020 in poi l’ha messo al centro della sua azione politica.
Giusto per fare un esempio, nella sua piattaforma Truth Social ha rilanciato più di 500 volte account legati al movimento complottista di QAnon.
A tal proposito, molti punti chiave della propaganda qanonista – come l’esistenza di un Deep State, le accuse di pedofilia e satanismo nei confronti dei democratici, nonché il sogno di un colpo di stato purificatore – sono ormai parte integrante della propaganda repubblicana.
L’ambiente politico che gravita intorno a Trump è infatti convinto che “l’estrema sinistra” occupi praticamente tutti i gangli del potere, e lavori alacremente per disintegrare gli Stati Uniti.
Di fronte a questa minaccia esistenziale, dunque, una parte della destra statunitense ha formulato la teoria del “cesarismo rosso” – ossia una “soluzione autoritaria per evitare il collasso della repubblica”, come l’ha definita il giornalista Jason Wilson.
Secondo l’accademico di destra Kevin Slack, questo “Cesare rosso” – dove il rosso deriva dal colore del Partito repubblicano – avrebbe il compito di istituire un “ordine post-costituzionale” per “ridare il potere al popolo”.
Per il saggista Michael Anton, già consulente al Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti durante la presidenza Trump, il “cesarismo rosso” sarebbe una “forma di governo individuale” che si colloca a metà strada tra “la monarchia e la tirannia” – e non in senso negativo.
C’è pure una versione cristiana della teoria. Nel libro The case for christian nationalism, il nazionalista cristiano Stephen Wolfe propone di eleggere un “Cesare cristiano” che instauri un “cesarismo teocratico” per combattere il secolarismo. La suggestione di una dittatura, insomma, circola ampiamente nei circuiti conservatori e repubblicani.
Non è detto che si realizzi, ovviamente; ma c’è comunque una remota possibilità che lo faccia, e questo di per sé è estremamente preoccupante.
Di sicuro lo scenario di un “Cesare rosso” non dispiace affatto a Trump, che sta già parlando come un dittatore in pectore – e soprattutto, si sta circondando di persone che lavorano per farlo diventare tale.
02/12/2023
da Valigia Blu