07/11/2025
da Remocontro
«Venezuela. Gli Usa sono i nuovi pirati dei Caraibi» il titolo da un editoriale del Washington Post per fotografare quanto sta avvenendo, con le forze statunitensi che infestano i mari del Venezuela e affondano navi e naviganti. Pungente come sempre Davide Malacaria su Piccolenote.it che presento per l’ultima volta, visto che presto firmerà direttamente su Remocontro.

The new pirates of the Caribbean
«In realtà, come rivelato il 16 ottobre da The Intercept, per affondare le prime barche – e si presume anche le successive – sono serviti “molti attacchi missilistici” e, in un caso, il naviglio colpito è stato finito a colpi di mitragliatrice. Cambia poco per gli sfortunati naviganti, ma il particolare macchia l’immagine ‘chirurgica’ per virare sulla ferocia. E ancora, un articolo del New York Times, dopo aver sottolineato l’illegalità di tali azioni, che dovrebbe spingere i militari alla disobbedienza, prosegue annotando che si stanno uccidendo persone che non hanno intenzioni ostili contro gli Stati Uniti e che ‘potrebbero essere arrestate facilmente anziché uccise sommariamente’». ‘Dettagli’ su quanto detto sopra: nessuna pietà per i naviganti, nonostante la Us. Navy sia perfettamente attrezzata per recuperare gli uomini in mare.
- Il sospetto è che non si vogliano sopravvissuti: col rischio che si scopra che non erano narcotrafficanti (d’altronde, il senatore Rand Paul ha fatto notare che il 25% delle barche fermate al largo della Florida perché ritenute dedite al narcotraffico risultano pulite).
Piaccia o non piaccia agli alleati europei
«Ma al di là, quanto accade nel mar dei Caraibi, pura pirateria secondo il diritto internazionale come annota l’editoriale del Wp, potrebbe essere presto dimenticato, seppellito dalle bombe che gli States minacciano di sganciare sul Venezuela. La droga non c’entra niente, vogliono il petrolio sul quale galleggia il Paese, ma questo è chiaro a tutti anche se nessun governo occidentale ha osato mettere in dubbio la motivazione e la legittimità di questa aggressione ‘illegale e immotivata’, per usare il refrain utilizzato alla nausea per l’attacco russo all’Ucraina. Né un lamento europeo si è levato per allarmare sulle mire statunitensi, che si estendono ben oltre il Venezuela, avendo ampliato la portata della minaccia anche a Messico e Colombia, di fatto mezzo continente sudamericano (perché l’altra metà intenda), nonostante gli stessi leader pigolino sull’inesistente ambizione russa a muovere guerra all’intera Europa».
Dati di fatto e di paura
- Al di là delle usate ambiguità nostrane, e per tornare all’aggressione al Venezuela, più incombente rispetto alle minacce rivolte a Bogotà e Città del Messico, va registrato che gli Usa hanno rafforzato il contingente militare, portandolo a 16mila uomini, avendo preso atto che i 5mila iniziali non sarebbero stati sufficienti.
«Il fatto che stiano rivedendo i piani indica che qualcosa non sta andando come pensavano. È ovvio che, sottotraccia, gli agenti della Cia, scatenata da Trump, stanno provando a portare dalla loro parte politici, generali e capi dell’intelligence, come accadde al tempo del tentato regime-change con Juan Guaidò. Ma, come allora, stanno incontrando difficoltà. Per inciso, i 5mila soldati stanziati all’inizio del dispiegamento sono esattamente quanti allora si prevedeva di inviare in Colombia in previsione dell’attacco, come fu rivelato da un’improvvida svista dell’allora Consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton, che si presentò a un incontro pubblico con un foglio sul quale era appuntato il piano».
Copia-incolla anche per i golpe
«Evidentemente il piano iniziale era lo stesso ed è stato cambiato in corso d’opera. Come simile ad allora è la figura prescelta per dare un’immagine pubblica al regime-change: a Guaidò è subentrata la Nobel per la pace Corina Machado, che nel 2000 lasciò Caracas per trasferirsi negli States per partecipare a ‘un corso di leadership presso la Kennedy School di Harvard per poi essere selezionata per il prestigioso Global Leadership Program della Yale University. Programmi considerati utili dal governo degli Stati Uniti per preparare leader potenzialmente leali per i paesi del Terzo Mondo». Dell’accordo poi siglato per conto del suo partito col Likud di Netanyahu, di cui è fervente sostenitrice, abbiamo già scritto (Piccolenote e Remocontro). La strana signora, dopo anni di opposizione sente l’odore del potere e, insieme, del sangue, dal momento che ha chiesto agli Usa di bombardare la sua gente per cacciare Maduro. Bizzarra davvero perché, in una recentissima intervista, ha negato che in Venezuela ci sia una dittatura, smentendo tutti i media mainstream che la sostengono…».
Per Trump Maduro avrebbe i giorni contati
Ma nonostante quello raccontato sopra sulla nuova ‘alternativa democratica in Venezuela’, per Trump ‘Maduro ha i giorni contati’. Rivolta popolare improbabile? Golpe militare a spinta Cia? Possibile ma pericoloso. Intebventi militare diretto statunitense? Il rischio che molta parte del ‘giardino di casa’ sud americano si arrabbi. Trump resta come sempre ambiguo, avendo già negato l’imminenza la notte di Halloween, e correggendo il tiro anche nell’intervista citata, aggiungendo di non credere che fosse imminente. «Probabile che non sia entusiasta della guerra che Marco Rubio e i neocon vogliono a tutti i costi, ma non sa come uscirne, soprattutto dopo aver avviato la macchina bellica. Da questo punto di vista, la sparata su un intervento in Nigeria per difendere i cristiani dai terroristi sembra appunto un tentativo di svicolare: gli Usa non possono permettersi due guerre aperte in contemporanea», annota Malacaria. Oltre a fargli dire addio al prossimo Nobel, alle brutte immagini elettorali dei marines che torneranno in Patria in sacchi di plastica, e complicherà il rapporto con Putin.
Venezuela che gli ha già fatto saltare l’incontro con Putin
- A proposito di quest’ultimo punto, avevamo scritto che probabilmente l’incontro con Putin a Budapest era saltato a causa del Venezuela. Lo conferma un analista russo, che spiega come sia stata decisiva la ratifica della Duma, su sollecitazione dello zar, dell’alleanza strategica Mosca-Caracas avvenuta subito dopo la telefonata Rubio-Lavrov che avrebbe dovuto preparare l’incontro tra i due presidenti. E da cui il ‘Niet’ obbligatorio.

