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Due licenziamenti, due sentenze: l’8 e 9 giugno si vota anche per loro

Due licenziamenti, due sentenze: l’8 e 9 giugno si vota anche per loro

Non è una battaglia simbolica: è la possibilità di restituire a tutti lo stesso grado di tutela

Due lavoratori, stessi turni, stesso mare, stessa fatica. Diversi solo nella data di assunzione: uno prima del Jobs Act, l’altro dopo. Entrambi licenziati per aver osato iscriversi al sindacato e aver chiesto diritti. Il primo reintegrato, o meglio: risarcito con 61mila euro dopo cinque anni di processo. Il secondo liquidato con 13mila euro. A far la differenza non è la giustizia, ma la legge che ha svenduto la dignità a colpi di riforme.

Il Jobs Act è stato il grimaldello: ha smontato l’articolo 18 e aperto la strada alla libertà di licenziare. Chi è entrato dopo il 7 marzo 2015 è diventato lavoratore di serie B. Anche quando il sopruso è identico, anche quando la sentenza è unanime. È la giurisprudenza diseguale che inchioda lo Stato alla sua ipocrisia.

Il caso di Rimini, raccontato da Collettiva (13 maggio 2025), è una scheggia di verità: tre pescatori tunisini licenziati perché avevano alzato la testa. Due a tempo indeterminato, uno a termine. Il messaggio dell’azienda era chiaro: chi reclama i diritti, perde il posto. Uno ha dovuto accontentarsi del minimo sindacale, l’altro ha lottato per anni per vedersi riconosciuto il torto. Il terzo, sparito dai radar, resta il fantasma delle tutele evaporate.

L’8 e 9 giugno si voterà anche su questo. Non è una battaglia simbolica: è la possibilità di restituire a tutti lo stesso grado di tutela. Perché il diritto al lavoro, per essere tale, non può dipendere dalla data in cui firmi un contratto. E perché la giustizia, se selettiva, diventa complice del sopruso che dovrebbe correggere.

14/05/2025

da Left

Giulio Cavalli

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