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Due terzi dei nuovi occupati in posti a basso reddito: i dati Istat smentiscono Fratelli d’Italia, che rivendica progressi ‘soprattutto per i più fragili’

Due terzi dei nuovi occupati in posti a basso reddito: i dati Istat smentiscono Fratelli d’Italia, che rivendica progressi ‘soprattutto per i più fragili’

Lavoro

21/11/2025

da Il Fatto Quotidiano

 Chiara Brusini

Secondo il partito della premier i dati dell'istituto di statistica confermano la bontà delle politiche del governo, che "riducono le disuguaglianze" e avvantaggiano "la fascia medio bassa delle classi di reddito". I numeri dicono altro

Il mercato del lavoro “torna a correre insieme alla nostra Italia”. E “i progressi più rilevanti riguardano proprio le famiglie più fragili“. Numeri che “parlano chiaro e smentiscono la retorica di una sinistra che continua a muovere critiche pretestuose“. Dopo la pubblicazione del focus dell’Istat su Mercato del lavoro e redditi, mercoledì, Fratelli d’Italia si è affrettata a rivendicare il successo delle ricette dell’esecutivo nel tentativo di ribaltare la narrazione dopo che lo stesso istituto ha spiegato come l’85% delle risorse del taglio Irpef previsto per il 2026 andrà ai più ricchi. Il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli ha parlato di “rapporto incoraggiante” perché “la crescita degli occupati si registra soprattutto nella fascia medio-bassa delle classi di reddito” e la deputata Elisabetta Lancellotta ha esultato perché le politiche adottate “riducono le disuguaglianze“. Ma il quadro delineato dall’istituto di statistica è ben diverso, se ci si prende la briga di leggere tutte le 20 pagine dell'”analisi integrata”. È vero che nel primo anno pieno di governo Meloni l’occupazione è cresciuta più velocemente tra i più poveri, ma solo perché partivano da tassi drammaticamente bassi. E chi ha trovato lavoro ha dovuto accontentarsi di posti mal retribuiti, stagionali e discontinui.

Occupazione in aumento? Cresce soprattutto il lavoro povero

L’Istat ha rilevato come nel 2024 sia proseguito “il trend di crescita dell’occupazione iniziato a partire dal 2021, successivamente al crollo del 2020 dovuto alla crisi pandemica“, a conferma che la tendenza è iniziata ben prima dell’arrivo a Palazzo Chigi della leader di FdI. Nel dettaglio, il tasso di occupazione tra il 2022 e il 2023 “aumenta soprattutto per le famiglie più povere (+2,7 p.p. nel primo e +2,1 p.p. nel secondo e nel terzo quinto di reddito equivalente”. Ma l’istituto spiega anche cosa c’è dietro, aspetto che la maggioranza tace: quelle fasce sono “caratterizzate strutturalmente da tassi di occupazione più bassi“, per cui è stato sufficiente un numero limitato di nuovi ingressi per determinare aumenti percentuali significativi. Il 20% di popolazione che rientra nella fascia dei più indigenti, infatti, a fine 2023 era occupato solo nel 37,9% dei casi, mentre per il 20% più ricco il tasso sfiora l’80%. Ulteriore tassello: mentre sul complesso degli occupati i dipendenti a termine sono diminuiti (dall’8,1% al 7,9%), nel quinto più povero sono aumentati notevolmente, dall’6,8% all’8,1% (+1,3 punti). La ripresa del tempo indeterminato (+1,4 punti complessivi) si è concentrata nelle fasce centrali della distribuzione dei redditi e non è andata affatto a vantaggio dei più fragili.

L’aspetto più preoccupante, e indigesto per la maggioranza, è però un altro: la nuova occupazione è tutt’altro che di alta qualità. L’Istat rileva che mentre tra 2019 e 2023 si è allargato il numero degli occupati nei gruppi professionali a reddito medio-alto (+28,9%) a scapito di quelli a reddito medio-basso (-28,5%), nel solo 2023 – primo anno pieno di governo per Giorgia Meloni – il 42,7% dei nuovi occupati è finito in “professioni e attività a basso reddito” e un altro 21,5% in posti a reddito medio-basso. Quasi due terzi insomma hanno sì trovato lavoro, ma povero. Solo il 6,9% ha trovato una collocazione che porta con sé un reddito alto. Il motivo? La grande maggioranza dei nuovi contratti è nell’agricoltura, nel turismo o nei servizi alla persona: settori soggetti a stagionalità, in cui la norma sono posti discontinui e con remunerazioni basse.

Lo svantaggio di giovani e donne

Sia Rampelli sia Walter Rizzetto, presidente della Commissione Lavoro della Camera, hanno sottolineato che i giovani hanno goduto di aumenti dell’occupazione significativi. Per la fascia tra i 25 e i 34 anni si è registrata in effetti tra 2022 e 2023 una crescita del tasso di 2 punti, che salgono a 5 per il quinto più povero. Ma anche in questo caso la medaglia ha due facce: il 62% dei 15-24enni e il 47% dei 25-34enni si colloca in attività a basso reddito, a dimostrazione che i nuovi ingressi giovanili continuano a concentrarsi nelle mansioni meno pagate.

Lo stesso vale per le donne: per loro l’incremento dell’occupazione è stato leggermente superiore a quello degli uomini, ma un terzo ha un lavoro povero. E nelle fasce a basso reddito la differenza di genere a favore degli uomini nei tassi di occupazione resta molto marcata: nel secondo quinto gli uomini hanno un tasso di occupazione del 66,2% contro il 38,7% delle donne. Al contrario, se si guarda al 20% più ricco si trova che ad avere un lavoro è il 75,3% delle donne contro l’83% degli uomini.

Il calo dei redditi reali

Confermato anche che i redditi reali non hanno recuperato il potere d’acquisto perso a causa dell’inflazione post Covid. Su questo fronte il focus Istat limita l’analisi al 2022, ma il risultato è impietoso: in quell’anno il reddito medio reale da lavoro si è fermato a 20.600 euro contro i 20.900 del 2018. Solo il reddito da lavoro autonomo ha recuperato e superato i livelli pre-pandemia (+10,4%), perché gli autonomi possono adeguare immediatamente i prezzi dei beni e servizi offerti mentre i lavoratori dipendenti sono appesi al rinnovo dei contratti, che arriva sempre in ritardo. Il danno è stato più marcato per i gruppi di professioni e attività a reddito medio: nel quinquennio il gruppo a reddito medio alto ha registrato un calo del reddito reale del 6,9% e quello a reddito medio-basso del 5,6%.

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