CARCERE. Il giorno dopo le due morti autoinflitte, il ministro in visita a Torino. Ma il suo problema è come fare spazio a più detenuti, non diminuirli
In quella propaggine a nord ovest della città si sta male, si soffre e ci si toglie la vita. È il carcere Lorusso Cutugno di Torino, meglio conosciuto come le Vallette dal nome del quartiere che lo circonda. Ieri, dopo il suicidio di due detenute venerdì, si è precipitato qui il ministro della Giustizia Carlo Nordio, anticipando in realtà una visita già programmata. «Non si tratta di una ispezione, né di un intervento cruento, ma di assoluta vicinanza», ha esordito il guardasigilli. Una visita, però, accolta da una rumorosa protesta dei detenuti: battiture sulle sbarre con gavette e altre stoviglie al grido di «libertà, libertà», urla da tutto il carcere in modo indistinto e anche qualche fischio.
«Lo Stato non abbandona nessuno» e i suicidi in cella sono fardelli di dolore», ha detto Nordio che è entrato nella casa circondariale direttamente in auto. Ad accoglierlo, la direttrice della struttura penitenziaria, Elena Lombardi Vallauri, i garanti comunale, Monica Gallo, e regionale Bruno Mellano, insieme al responsabile dell’Asl per il carcere Roberto Testi; presente anche la vicesindaca Michela Favaro.
AL TAVOLO, il ministro – che interpellato sulle proteste ha detto «molto spesso i detenuti in situazioni di sofferenza danno manifestazioni di disagio» – ha parlato delle ricette che intende mettere in campo, come l’utilizzo di caserme dismesse per ospitare detenuti non pericolosi: «Costruire un carcere nuovo è costosissimo, impossibile sotto il profilo temporale, ci sono vincoli idrogeologici, architettonici, burocratici. Cercheremo quella che vorrei chiamare una detenzione differenziata tra i detenuti molto pericolosi e quelli di modestissima pericolosità sociale. C’è una situazione intermedia che può essere risolta con l’utilizzo di molte caserme dismesse, che hanno spazi meno afflittivi». Antigone sostiene che il problema sia un altro: «Il ministro ha parlato ancora una volta di edilizia penitenziaria e, ancora una volta, va ribadito che non servono più carceri, ma servono carceri piene di attività e attenzione per le persone detenute».
SULLA MORTE delle due detenute c’è un’inchiesta della procura di Torino e Nordio avrebbe chiesto un incontro con gli psichiatri della casa circondariale. Erano due giovani donne, storie e provenienze diverse ma vicine di cella. Susan John, nigeriana di 43 anni, si è lasciata morire lentamente rifiutando acqua, cibo, cure e chiedendo insistentemente del figlio (il ministro Nordio sostiene che non si sia trattato di sciopero della fame, non fornendo altri elementi). Azzurra Campari, 28 anni, originaria della provincia di Imperia, si è impiccata qualche ora dopo; alle spalle piccoli furti, una pena da scontare fino al 2024. La madre, attraverso il proprio avvocato, Marzia Ballestra, ha raccontato: «L’ultima volta che ci siamo parlate in video chiamata mi aveva detto: “Mamma non ce la faccio più”».
Ma non basta. Proprio ieri dal carcere di Rossano Calabro arriva la notizia di un’altra morte in carcere. Ancora un suicidio, questa volta si tratta di un uomo di 44 anni detenuto per traffico di stupefacenti.
Monica Gallo, garante dei diritti dei detenuti di Torino, rivela che le gravi situazioni di malessere delle due detenute morte venerdì non erano state rese note. Alle Vallette, dice, «ci sono carenze strutturali e di personale, oltre al sovraffollamento, che in certi padiglioni è del 160%. Serve cambiare la visione. A Torino entrano in carcere ogni mese 200 persone magari temporaneamente, mettendo in moto una macchina che impegna il personale penitenziario sottratto dalla routine di assistenza. Le operazioni di convalida dovrebbero essere fatte all’esterno e non all’interno della casa circondariale. Questo è un carcere che sta soffrendo, inoltre, i continui cambi di direzione, che creano preoccupazione tra i detenuti. Spero che dopo questo dramma possano cominciare a cambiare delle cose».
Il Comune di Torino ha recentemente proposto al ministro della giustizia un «Manifesto dei giovani adulti detenuti», un progetto pilota a livello nazionale per migliorare le condizioni di vita della popolazione detenuta fra i 18 e i 25 anni, che suggerisce la costituzione di un’equipe multiprofessionale, con personale anche di enti esterni, che, fin dal momento del primo ingresso si occupi della realizzazione di progettualità che coinvolgano in prima persona i detenuti giovani. In tema di formazione e lavoro ma anche di salute, fisica e mentale.
13/08/2023
da Il Manifesto