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È tregua a Gaza, finalmente

È tregua a Gaza, finalmente

Politica estera

10/10/2025

da Il Manifesto

Michele Giorgio

FOSSE VERO. Trump esalta l’accordo di Sharm el Sheikh tra Israele e Hamas. Lunedì il rilascio degli ostaggi, poi toccherà ai prigionieri palestinesi

Il governo Netanyahu era riunito ieri sera per approvare l’accordo redatto e firmato qualche ora prima a Sharm El Sheikh, che, sulla base del Piano Trump, prevede nella prima fase un cessate il fuoco a Gaza, il rilascio lunedì, forse prima, di venti ostaggi israeliani vivi e il ritiro parziale delle forze israeliane dalla Striscia. Il ministro delle Finanze, l’ultranazionalista Bezalel Smotrich, ha annunciato che avrebbe votato contro, però l’intesa, già approvata da Hamas, appariva destinata a passare in ogni caso, anche senza i voti dei ministri dell’estrema destra, dando inizio della tregua. Grande la soddisfazione della Casa Bianca e di vari paesi occidentali e arabi. Enorme la felicità della popolazione di Gaza che ha atteso per troppo tempo la fine dell’offensiva israeliana che ha ucciso almeno 67 mila persone, in gran parte civili. Hanno festeggiato in strada per ore anche le famiglie degli ostaggi vivi e le migliaia di israeliani che le hanno sostenute in questi mesi.

Trump, che domenica dovrebbe essere in Israele e pronuncerà un discorso alla Knesset, ieri ha confermato di voler partecipare alla firma ufficiale in Egitto dell’accordo di tregua e di scambio di prigionieri. «Abbiamo messo fine alla guerra nella Striscia di Gaza… Con il punto di svolta di ieri (mercoledì) abbiamo creato una pace che spero possa essere duratura», ha detto il capo della Casa Bianca, ribadendo che la liberazione degli ostaggi a Gaza avverrà «lunedì o martedì». Ha inoltre previsto che «diversi grandi Paesi» della regione contribuiranno alla rinascita della Striscia.

«Gaza sarà ricostruita», ha assicurato, presentando l’intesa come una sua vittoria personale più che come un successo della diplomazia americana. Canta vittoria anche Benyamin Netanyahu. La portavoce del governo, Shosh Bedrosian, ha detto ai giornalisti che «fin dal primo giorno di questa guerra, il primo ministro ha definito tre obiettivi: il ritorno di tutti i nostri ostaggi, la sconfitta e lo smantellamento di Hamas e la garanzia che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele… Tutti gli obiettivi del primo ministro sono stati raggiunti».

Hamas, dal canto suo, ha ringraziato il presidente statunitense «per il suo impegno a favore della pace» e ha definito l’intesa raggiunta in Egitto come «la fine della guerra». Ha poi chiesto ai paesi garanti di «obbligare Israele a rispettare integralmente i termini stabiliti». Poche ore dopo, un portavoce del movimento ha accusato Tel Aviv di «manipolare le date e i passaggi concordati». Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha applaudito l’accordo, auspicando che esso rappresenti «un preludio a una soluzione politica sostenibile» e alla creazione di uno Stato palestinese nei confini del 1967.

Ieri sera, a Sharm el-Sheikh, riferivano i media locali, è stato risolto anche il nodo dei duemila prigionieri politici palestinesi che Israele dovrebbe scarcerare in cambio degli ostaggi – 250 condannati all’ergastolo e 1.700 presi a Gaza dopo il 7 ottobre 2023 – con un’intesa sui nomi di spicco richiesti da Hamas. Israele ha categoricamente escluso di poter liberare Marwan Barghouti, il “Mandela palestinese”, e altri capi o comandanti di organizzazioni e partiti legati alla Seconda Intifada.

Si festeggia in queste ore, ma l’accordo di cessate il fuoco mostra i suoi limiti. Trump parla di pace in tutto il Medio Oriente, ma poi concentra gran parte del suo impegno sull’attuazione della prima fase del piano, che pone al centro la liberazione degli ostaggi israeliani vivi in un unico lotto, come aveva promesso mesi fa alle loro famiglie.

La tregua a Gaza e la fine dei bombardamenti non sono la sua priorità, nonostante le enormi sofferenze inflitte ai civili palestinesi. Restano inoltre incerte le disposizioni per il ritiro dell’esercito israeliano fino alla «linea gialla» indicata dal piano americano. I militari israeliani usciranno dal centro di Gaza City e da alcune aree di Beit Lahiya, Jabaliya e Khan Yunis, ma altre città, come Rafah e Beit Hanoun, e il corridoio di Filadelfia sul confine con l’Egitto, rimarranno sotto il controllo dell’occupante e il loro destino sarà discusso in seguito. Osama Hamdan, uno dei dirigenti più importanti di Hamas, ha avvertito che «la liberazione degli ostaggi israeliani è condizionata all’effettivo ritiro dell’esercito israeliano». A sua volta, il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar ha ribadito che il ritiro completo da Gaza «è condizionato al disarmo di Hamas… Hamas deve disarmarsi».

L’accordo non ha affrontato, né esplicitamente né implicitamente, i tempi di avvio dei negoziati sulla seconda fase, che dovrebbero partire subito dopo l’attuazione della prima. Il rischio di un fallimento e della ripresa dell’offensiva israeliana resta alto. Pesa come un macigno la questione del disarmo di Hamas, che potrebbe diventare il pretesto a cui si aggrapperà il governo Netanyahu per rilanciare la guerra.

Il governo di Gaza nel dopoguerra è un’altra delle mine, trascurate e irrisolte, che potrebbero esplodere facendo crollare tutto. Ieri la Francia ha ospitato un incontro con i rappresentanti di vari paesi, con l’Arabia saudita in testa, di fatto un’estensione dell’iniziativa franco-saudita a sostegno della soluzione dei due Stati, che ha portato quattro settimane fa alla Dichiarazione di New York a sostegno dello Stato di Palestina.

Sul tavolo c’era la proposta di Parigi per la formazione di una forza di sicurezza palestinese di circa 10.000 uomini, da addestrare sotto la supervisione internazionale e da dispiegare a Gaza. Tutti sanno che sarebbero uomini dell’Autorità nazionale palestinese, uno sviluppo che Israele respinge categoricamente. Tel Aviv ha criticato l’iniziativa e questo avrebbe indotto il Segretario di stato Rubio a tenersi lontano dalla riunione in Francia. Il governo Netanyahu insiste soprattutto sul fatto che Hamas non abbia alcun ruolo nel governo della Striscia.  Al contrario, Hamas rifiuta qualsiasi ruolo straniero, affermando la propria disponibilità a rinunciare al controllo di Gaza, ma solo in favore di un governo tecnico palestinese con il sostegno arabo e islamico.

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