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“Ecco perché abbiamo denunciato l’industria bellica Leonardo per la fornitura di armi a Israele

“Ecco perché abbiamo denunciato l’industria bellica Leonardo per la fornitura di armi a Israele

Politica italiana

21/11/2025

da Left

Dario Morgante

La farmacista palestinese Hala Abulebdeh e una rete di associazioni hanno citato in giudizio il colosso italiano delle armi chiedendo l’annullamento dei contratti con l’Idf per violazione della legge e del diritto internazionale.

La dottoressa Hala Abulebdeh, farmacista gazawi laureata all’Università di Glasgow, è venuta a sapere dell’assedio che l’esercito israeliano stava portando avanti nei pressi della casa in cui si trovava la sua famiglia, nel sud della Striscia di Gaza, da un laconico messaggio whatsapp della sorella. Era il 12 dicembre 2023 e i bollettini del ministero della Sanità registravano già oltre 18.400 morti dall’inizio di quello che, solo un mese dopo, la Corte internazionale di giustizia avrebbe definito un «rischio reale e imminente» di genocidio. L’Idf, quel giorno, ha sterminato i genitori, le due sorelle e i cinque fratelli di Hala, resa edotta della strage svariati giorni dopo soltanto grazie ai messaggi di condoglianze dei suoi vicini di casa di Gaza.

La storia di Hala, raccontata integralmente oltre un anno fa al podcast Palestine Deep Dive, si intreccia con l’iniziativa legale “In nome della legge! Giù le armi, Leonardo”, promossa da una rete di organizzazioni della società civile italiana (AssoPacePalestina, A buon diritto, Attac, Arci, Un Ponte Per e altri) contro il colosso delle armi Leonardo S.p.A. Gli avvocati delle associazioni e della dottoressa Abulebdeh – Luca Saltalamacchia, Veronica Dini, Michele Carducci e Antonello Ciervo – hanno depositato presso il Tribunale civile di Roma un atto di citazione contro la multinazionale bellica italiana. 

Con il ricorso, presentato il 19 novembre, durante la conferenza stampa alla Fondazione Lelio Basso di Roma, le associazioni chiedono l’annullamento di tutti i contratti di Leonardo con Israele relativi alla fornitura bellica all’Idf. Se il giudice dovesse accogliere la loro richiesta, ciò potrebbe segnare un precedente importante: non solo la fine di quelle forniture, ma anche una forte ridiscussione del modello industriale e commerciale che lega industria bellica e politica estera. Potrebbe, insomma, essere un primo passo per far pagare a chi genera profitto sulle armi una responsabilità giuridica che finora è rimasta quasi invisibile.

«Questi contratti violano norme fondamentali perché Israele utilizza la guerra come strumento di oppressione e occupazione contro la popolazione palestinese», ha dichiarato l’avvocato Saltalamacchia, sottolineando che Leonardo, partecipata per il 30% dal ministero dell’Economia e delle Finanze dello Stato italiano, «fornisce veicoli, aerei, elicotteri, componenti per F‑35, radar, mezzi militari da trasporto, cannoni navali e persino alette per bombe guidate verso obiettivi prestabiliti. Non si tratta solo di addestramento: questi mezzi vengono anche impiegati come strumenti d’attacco».

Secondo l’avvocato Antonello Ciervo, sostenere questo ricorso significa «richiamare all’osservanza di una serie di norme nazionali e internazionali» che oggi rischiano di essere ignorate. L’export di armi a Israele da parte di Leonardo non è solo una questione economica ma «contrasta con l’articolo 11 della Costituzione, con la legge 185/1990 che vieta le esportazioni verso Stati che violano i diritti umani, così come con il Trattato sul commercio delle armi delle Nazioni Unite e con il codice etico di Leonardo, che prevede obblighi stringenti anche per le società controllate». 

I referenti delle associazioni coinvolte hanno denunciato le politiche di conversione bellica italiane e occidentali, ribadendo l’urgenza di pretendere il rispetto della legge e della Costituzione. «Israele ha violato e continua a violare tutto il diritto internazionale possibile. Continuare ad armare Israele significa legittimare qualsiasi stato a fare ciò che voglia», dice Raffaella Bolini, vicepresidente di Arci Nazionale, aggiungendo: «La produzione di armi è redditizia solo se le armi vengono effettivamente utilizzate, e la guerra rischia così di diventare un obiettivo economico». 

Dello stesso avviso è Luisa Morgantini, presidente di AssoPacePalestina, che sottolinea l’importanza di «Mettere in luce ciò che Leonardo ha fatto, sta facendo e farà. È necessario denunciare ciò che sta avvenendo per fermare il genocidio e la pulizia etnica ancora in corso». Per Italo Sandrini delle Acli il nodo è la responsabilità dello Stato italiano che «avrebbe dovuto interrompere autonomamente i contratti! senza l’intervento della comunità civile che oggi supplisce «a una grave mancanza». 

Il suo intervento si inserisce nel solco del recente rapporto delle Nazioni Unite, presentato esattamente un mese fa dalla relatrice speciale Francesca Albanese e intitolato “Gaza Genocide: a Collective Crime”. Nel documento – come è noto – vengono accusati 63 Stati,  Italia compresa – di complicità con il genocidio in corso a Gaza, fornendo prove e dati sulla fornitura di armi, la copertura diplomatica e le omissioni assicurate da numerosi governi occidentali. Infine Camilla Siliotti dell’associazione A Buon Diritto, fondata da Luigi Manconi sottolinea l’importanza di «strumenti giuridici a sostegno delle mobilitazioni, indispensabili per riportare al centro il concetto di responsabilità, opposto a quello di complicità e silenzio». 

La conferenza è servita anche a lanciare lo sciopero del 28 novembre indetto dall’Usb contro la “finanziaria di guerra” del governo Meloni. La rete di sigle pro‑Palestina, che ha mobilitato milioni di manifestanti tra settembre e ottobre, tornerà in piazza, unita dal motto Blocchiamo tutto, chiedendo ancora una volta le dimissioni del governo italiano per la sua complicità con il genocidio. In questo contesto, la battaglia legale di Hala Abulebdeh e delle associazioni si intreccia con la mobilitazione popolare: non si tratta “solo” di un ricorso giudiziario ma di una sfida diretta all’impotenza e alla rassegnazione che ha pervaso per mesi la società civile solidale alla Palestina. «È possibile fare affari o autorizzare contratti con oggetto materiale bellico nell’ambito della commissione di crimini internazionali? Questo è in contrasto con la Costituzione e con il Trattato Onu 2013, recepito nell’ordinamento italiano ex art. 117? «È in contrasto con il codice etico di Leonardo S.p.A.?» ha chiesto a chiare lettere l’avvocato Saltalamacchia. Alcune risposte le fornirà – probabilmente – un giudice, ma le domande restano aperte. A doversi interrogare, però, non dovrebbe essere solo il tribunale, ma un’intera classe politica e industriale, chiamata dalle piazze a confrontarsi finalmente con la propria responsabilità morale, prima ancora che con quella legale.

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