ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

Elmasry, L’Aja accusa ancora l’Italia. Il cerchio si stringe su Nordio

Elmasry, L’Aja accusa ancora l’Italia. Il cerchio si stringe su Nordio

Chi molla il boia. La procura della Cpi vuole deferire Roma all’Onu: «Ha mancato i propri obblighi». Il tribunale dei ministri verso la fine dei suoi lavori, la posizione più delicata è quella del Guardasigilli

È durissimo il documento con cui la procura della Corte penale internazionale chiede di deferire l’Italia al consiglio di sicurezza dell’Onu – e all’assemblea dei paesi che aderiscono al tribunale dell’Aja – per come ha gestito il caso del libico Osama Elmasry, ricercato per crimini di guerra e contro l’umanità, arrestato dalla Digos a Torino il 19 maggio scorso e poi scarcerato e riportato a Tripoli a bordo di un volo di stato appena tre giorni dopo. La decisione finale sul deferimento verrà presa dai tre giudici della prima camera preliminare: la romena Iulia Motoc, la beninese Reine Adélaïde Sophie Alapini-Gansou e la messicana María del Socorro Flores Liera.

NELLE SUE QUATTORDICI pagine, comunque, la procuratrice Nazhat Shameem Khan sostiene che «l’Italia ha mancato ai propri obblighi» e smonta completamente le osservazioni inviate a maggio dal governo, a partire dalla violazione dell’articolo 90 dello Statuto di Roma, quello che regola le richieste concorrenti. Una delle giustificazioni italiane alla mancata consegna di Elmasry alla Cpi, infatti, riguarda l’esistenza di una presunta richiesta d’arresto libica, rivelata soltanto a tre mesi di distanza dai fatti e, all’apparenza, mai approfondita. Secondo lo Statuto, le istanze dei singoli paesi hanno la precedenza rispetto a quelle dell’Aja, ma, sostiene la procuratrice Khan, Elmasry «non è stato consegnato alla Corte né è stato estradato in Libia» perché «è stato rilasciato e trasferito liberamente a Tripoli, dove è stato accolto da una folla festante». Altra questione riguarda la cavillosa distinzione fatta dal governo di Roma sull’autonomia dei vari organi coinvolti nel caso (la polizia, la Corte d’appello della Capitale, il ministero della Giustizia, il Viminale). Questa attenta separazione delle funzioni e delle responsabilità, per la procura della Cpi non esclude una violazione dell’articolo 87 ancora dello Statuto di Roma, là dove si dice che, per quanto riguarda le richieste di cooperazione, «non è importante determinare quale autorità statale sia maggiormente responsabile ma se nel complesso uno stato parte non ha adempiuto a una richiesta della Corte, impedendo l’esercizio delle sue funzioni».

STESSO DISCORSO per i presunti contrasti, sventolati a più riprese soprattutto dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, tra il mandato d’arresto spiccato all’Aja e il codice di procedura penale italiano. A questo Khan risponde che gli stati parti sono «tenuti a garantire che esistano procedure disponibili per tutti i tipi di cooperazione previsti dallo statuto». E, in ogni caso, Nordio «avrebbe dovuto limitarsi a eseguire la richiesta trasmettendola al procuratore generale, non si parla di sua discrezionalità». Dopo queste nuove accuse, mentre dalle parti dell’esecutivo si studiano nuove «controdeduzioni», l’ong Mediterranea chiede che «il tribunale dei ministri di Roma, prendendo atto di ciò che la Corte dell’Aja ha appurato, concluda senza indugi le indagini in corso per l’ipotesi di reato di favoreggiamento contro i ministri Nordio e Piantedosi, il sottosegretario Mantovano e la presidente del consiglio Meloni. E che la giustizia internazionale si attivi di conseguenza a ogni livello».

LA FACCENDA è delicata: il lavoro del tribunale dei ministri è ormai agli sgoccioli, la ricostruzione di quanto accaduto nei tre giorni in cui Elmasry è stato in custodia è completa e non resta che decidere cosa fare: archiviare il fascicolo o procedere e rimandare gli atti al procuratore di Roma Francesco Lo Voi, che a quel punto dovrebbe attivare tutte le procedure del caso, a partire dall’invio degli atti alle camere competenti per chiedere l’autorizzazione a procedere. Si tratterebbe di una bordata terrificante verso l’esecutivo: già quando, alla fine di gennaio, arrivarono le informazioni di garanzia scaturite da un esposto dell’avvocato Luigi Li Gotti, la premier Meloni reagì in maniera piuttosto violenta con un video sui social e subito dopo i media fiancheggiatori del governo si lanciarono in una campagna di delegittimazione contro Lo Voi, tacciato, contro ogni evidenza biografica e professionale, di essere una «toga rossa». Ad ogni modo, sul piano giudiziario, la posizione più a rischio è quella di Nordio: era lui che avrebbe dovuto curarsi di interloquire con la Corte d’appello di Roma, cosa mai fatta nonostante le sollecitazioni arrivate dalla procura generale. E, di fatto, è il suo mancato intervento ad aver portato alla liberazione di Elmasry.

STANDO A QUANTO raccontato dai funzionari di via Arenula al tribunale dei ministri, se il primo arresto – quello effettuato dalla digos di Torino – era irregolare perché in effetti non c’erano stati i necessari contatti con il Guardasigilli, già erano stati comunque preparati tutti gli atti per un nuovo arresto del libico. Nulla lo avrebbe impedito e la procedura sarebbe stata del tutto legittima, ma Nordio non ha voluto firmare le carte. L’ipotesi che va per la maggiore, più che il favoreggiamento, è quella dell’omissione d’atti di ufficio.

29/06/2025

da Il Manifesto

Mario Di Vito

share