09/10/2025
da Il Manifesto
LA MISURA PASSA. Sumar a Belarra: «Convalidare il decreto significa rispettare il diritto internazionale»
Per il rotto della cuffia, ancora una volta il governo spagnolo è riuscito a portare a casa il sì definitivo alla conversione in legge del decreto sull’embargo a Israele varato dal Consiglio dei ministri due settimane fa. Per Pedro Sánchez si tratta di una questione di immagine: rendere concreto l’impegno di cui si riempie la bocca di non vendere o comprare armi a un paese che sta commettendo un genocidio, come lo stesso premier ormai dice apertamente.
LA VOTAZIONE, avvenuta ieri sera, era stata posticipata di un giorno per evitare che coincidesse con l’anniversario dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, e dopo che l’ambasciata israeliana aveva definito questa coincidenza come «perversa, disumana e aberrante».
Alla fine, anche Junts e Podemos – i soci parlamentari più recalcitranti – hanno finito per votare sì. I motivi del dissenso erano diametralmente opposti. Il partito capeggiato dall’ex presidente catalano Carles Puigdemont, ancora esiliato a Bruxelles perché i giudici si rifiutano di applicargli l’amnistia (il tribunale costituzionale si pronuncerà su questa questione nei prossimi mesi), non si è mai particolarmente speso sul tema «embargo di armi» e fino all’ultimo, durante il dibattito, la portavoce Marta Madrenas si chiedeva se non fosse il momento sbagliato per approvarlo, proprio ora che sembra che si avvicini un cessate ial fuoco. Ma il sì di Junts stavolta il governo lo dava per scontato – dopo la sberla di poche settimane fa, quando Junts aveva fatto saltare la norma delle 37 ore e mezzo lavorative settimanali.
Quello che invece non era per niente chiaro era il via libera di Podemos, un partito che fin dall’inizio aveva criticato moltissimo la norma considerandola un «embargo fake». Le principali critiche del partito si concentrano sulle falle della norma, definita «un colabrodo».
LA PRIMA: lascia un margine di discrezionalità al governo in caso di «interesse nazionale». In pratica, se l’industria bellica israeliana fornisce armi o tecnologia «insostituibile», il governo si riserva di poter ignorare la norma – anche se il ministro dell’Economia Carlos Cuerpo, che riferirà ogni tre mesi, ha promesso che la Spagna ha già lavorato per sostituire Israele come fornitore. La seconda critica dei viola è che la norma non dà al governo il potere di impedire che gli Stati uniti utilizzino le basi navale di Rota (Cadice) e aerea di Morón de la Frontera (Siviglia) per continuare indisturbati il commercio di armi.
Secondo la segretaria del partito, Ione Belarra: «Da quando il decreto è stato approvato dal Consiglio dei Ministri, quattro navi con equipaggiamento militare sono transitate nei porti spagnoli dirette in Israele». Ha tacciato poi il governo di «elettoralismo a buon mercato». Alla fine però, con la pressione delle piazze, e dopo che associazioni filo-palestinesi si sono presentate al congresso per chiedere a tutti i partiti di approvare la norma, hanno deciso di votare sì. «Podemos continuerà a chiedere un embargo totale sulle armi e la rottura di tutte le relazioni con Israele», però non voleva dare al Psoe «una scusa per non fare nulla», ha dichiarato Belarra, chiedendo a tutti di partecipare allo sciopero generale del 15 ottobre «per costringere la Spagna a rompere ogni relazione militare, economica, tecnologica, culturale e sportiva con i genocidi».
ANCHE SUMAR aveva minacciato Podemos: «Convalidare il decreto significa rispettare il diritto internazionale. Chiunque voti contro ignora le leggi dell’umanità», aveva detto Enrique Santiago di Izquierda Unida, mentre Yolanda Díaz aveva avvertito i viola: «Chiunque non permetta di convalidare il decreto si metterà nel lato oscuro». Gabriel Rufián, di Esquerra Republicana era d’accordo che «questo decreto è insufficiente e codardo», ma, aggiungeva, «se aiuta a salvare la vita di un singolo bambino a Gaza, per noi ne vale già la pena». Partito popolare e Vox, invece, hanno votato contro.