Rispetto ai precedenti, il nuovo rapporto della rete NGFS triplica le stime sulla perdita di Pil dovuta alla crisi climatica.
Entro il 2050, la crisi climatica potrebbe causare una perdita del 15% del prodotto interno lordo (Pil) globale. È quanto emerge dal nuovo rapporto della rete NGFS (Network for Greening the Financial System), che riunisce le banche centrali impegnate a rendere il sistema finanziario più sostenibile. L’analisi aggiornata segna un significativo peggioramento rispetto alle precedenti stime, triplicando le perdite economiche previste, grazie a una metodologia che integra meglio i rischi cronici e gli impatti degli eventi estremi legati al riscaldamento globale. Questa stima corrisponde allo scenario di prosecuzione delle politiche correnti (“Current Policies”). Nello scenario di azzeramento delle emissioni nette al 2050, le perdite ammonterebbero al 7%.
Una metodologia più avanzata per misurare i rischi della crisi climatica
Il NGFS ha utilizzato i più recenti dati e modelli scientifici per perfezionare la propria valutazione del danno e includere una gamma più ampia di rischi fisici. Mentre le valutazioni precedenti si concentravano principalmente sull’aumento delle temperature medie, la nuova analisi incorpora anche variabilità climatiche, come oscillazioni giornaliere delle precipitazioni e fenomeni legati all’umidità. Questi fattori incidono negativamente su infrastrutture, condizioni di lavoro ed ecosistemi, compromettendo la produttività economica globale.
«La lentezza nell’attuazione delle politiche climatiche ha aggravato i rischi economici, portando a un aumento delle emissioni a breve termine e a picchi di temperatura previsti per la metà del secolo», si legge nel rapporto. Sabine Mauderer, presidente del NGFS, ha sottolineato come il nuovo approccio metodologico permetta una visione più completa degli impatti economici degli eventi meteorologici estremi.
Rischi fisici e di transizione: una minaccia combinata per il Pil
Oltre ai rischi fisici, il rapporto evidenzia i rischi della transizione ecologica, legati al passaggio a un’economia a basse emissioni di CO2. Tra questi l’aumento dei prezzi del petrolio, le fluttuazioni nei prezzi dell’anidride carbonica nel mercato delle emissioni e i cambiamenti nell’approvvigionamento energetico. Questi fattori potrebbero influenzare profondamente la redditività delle imprese e il funzionamento delle economie globali.
Nonostante i progressi metodologici, però, rimangono incertezze e margini di errore. Fenomeni come l’innalzamento del livello del mare o i punti di non ritorno climatici sono difficili da integrare nei modelli, rendendo i risultati potenzialmente sottostimati. Sarah Daymier, consulente per la società Square Management interpellata dalla testata francese Novethic, avverte che i numeri del rapporto potrebbero essere persino troppo ottimistici. Perché non tengono pienamente conto della possibilità di recessioni economiche prolungate.
Una transizione ordinata è fondamentale
Attenzione, NGFS non sta dicendo che la transizione farà male all’economia. Anzi, la rete delle banche arriva alla conclusione opposta. La transizione verso la sostenibilità deve essere coordinata, perché solo così sarà meno costosa nel lungo periodo rispetto a un’azione disorganizzata o tardiva. Limitare l’aumento delle temperature globali a 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali è ancora possibile, ma richiederà impegni politici e azioni più significative di quelle attuali.
Questo avvertimento arriva in un momento cruciale, con la Cop29 di Baku appena conclusa con impegni deprimenti nel campo della finanza climatica. Le difficoltà incontrate nei negoziati sottolineano quanto sia urgente accelerare gli sforzi globali per contrastare il riscaldamento globale. Il messaggio del NGFS è inequivocabile: il tempo per agire è ora, e il costo dell’inazione sarà incalcolabile.
16/12/2024
da Valori