Dalle contestazioni di Guterres all’Onu, alle osservazioni critiche di Obama, la lapidaria presa di posizione del presidente turco Erdogan sulla questione palestinese, contro la reazione israeliana a Gaza, e sulla politica di sostegno statunitense di Biden. Con la provocazione ultima: «Gli uomini di Hamas non li considero dei terroristi». E lo schieramento dell’islam moderato e filo occidentale si frantuma e di assottiglia.
La Nato americana e l’Islam ferito
Nella micidiale partita mediorientale, che si sta giocando sulla pelle dei palestinesi di Gaza e sui complessivi scenari mediorientale con altri possibili fronti di guerra, il Presidente della Turchia, Paese Nato, dice la sua, ed è una sorta di bomba politica contro le esibizioni di forza vendicatrice israeliane, le complicità americane, e i silenzi opportunistici europei. Tra le altre cose, Erdogan si è addirittura rifiutato di definire ‘terroristi’ gli uomini di Hamas, che considera dei patrioti, «un gruppo di liberazione che combatte per la sua terra». E, proprio in relazione a questa sua visione delle cose, Erdogan si è affrettato ad annullare la visita che avrebbe dovuto compiere nello Stato ebraico, gelando i rapporti diplomatici tra Gerusalemme e Ankara.
Terremoto geopolitico
Mano a mano che gli israeliani intensificano pesantemente i loro attacchi aerei sulla Striscia (oltre seimila morti finora), le reazioni internazionali si fanno più critiche. E, ferma restando la dura condanna sugli eccidi perpetrati da Hamas (salvo la provocazione di Erdogan), sta prendendo sempre più piede anche un netto dissenso nei confronti della reazione di Gerusalemme. Valutata sempre più diffusamente come una rappresaglia indiscriminata più che un’operazione militare mirata contro nemici armati.
Guterres, Obama e ora Erdogan
Ieri, dunque, un altro clamoroso dissenso dopo quello clamoroso del Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres e dopo le parole di Barack Obama, che invitavano Netanyahu e colleghi a valutare le ragioni storiche palestinese e a non farsi guidare dalla sete di vendetta. Su Hurryet, il più importante giornale turco, l’articolo d’apertura riportava il furioso attacco di Erdogan alla controffensiva di Israele dopo i massacri del 7 ottobre. In effetti, parlando davanti alla sua delegazione parlamentare (quella dell’AKP Parti), il Presidente turco ha esordito chiedendo un immediato cessate il fuoco, per motivi umanitari. Ma poi, entrando più nello specifico della questione, la sua analisi è diventata più accalorata, fino a essere condita da violente accuse nei confronti degli israeliani.
Strage di innocenti
«Quasi la metà delle persone uccise a seguito degli attacchi israeliani contro Gaza sono bambini. Questo da solo rappresenta un’atrocità, crimini contro l’umanità. Gli attacchi di Israele contro Gaza sono una situazione che documenta sia l’omicidio che uno stato di malattia mentale, sia per coloro che li compiono, che per coloro che lo sostengono». ‘Assassini e pazzi’, con riferimenti inequivocabili a Gerusalemme e Washington. «Chiedo, quindi, a tutti gli altri Paesi, che sono attenti e che hanno coscienza, di fare pressione sul governo Netanyahu, affinché lo Stato di Israele dimostri buonsenso». Erdogan ha riservato l’ultima stoccata agli Stati Uniti, per il suo rafforzamento militare in tutto il Medio Oriente, «che serve soltanto a gettare altra benzina sul fuoco».
Poi Erdogan chiama Putin
Come riporta Hurryet, Erdogan ha avuto una lunga conversazione telefonica con Putin, manifestando anche a lui «la sua delusione per l’indifferenza dell’Occidente nei confronti dell’agonia di Gaza». Certo, il bastione turco rappresenta una tessera fondamentale nella geopolitica mediterranea occidentale. Che Biden non si può permettere di trascurare o, addirittura, di ritrovarsi contro. Anche perché, già deve fronteggiare, assieme al resto dell’Occidente, una marea montante di proteste che sta cementando tutti i Paesi arabi. Anzi, per essere più precisi, tutti quelli islamici e, a cascata, pure le nazioni ‘non allineate’ e del Sud del mondo.
Il mondo contro gli orrori di Gaza
«In tutto il Medio Oriente, scoppiano proteste per le scene orribili a Gaza», titola preoccupato il New York Times. E prosegue, snocciolando istantanee di piazze e strade gremite di manifestanti, che chiedono ‘libertà per i fratelli palestinesi’. Questa volta l’indignazione araba è totale. E pericolosa. Perché mette assieme i vertici di Paesi, ritenuti filo-occidentali, con una base che invece vede l’America e l’Europa come potenze dalle immutate stimmate colonialistiche. Ma soprattutto, la rabbia si sposa con l’ingiustizia: la pietà per i bambini, i vecchi le donne incolpevoli uccisi, deve valere per tutti.
Umanitari a ‘geometria variabile’
Ieri, la regina di Giordania, Rania, nonostante il suo Paese sia un fedele alleato degli Stati Uniti, ha attaccato il ‘doppio standard’ usato dagli occidentali nella tutela dei diritti essenziali. Che in questo momento vengono negati ai civili di Gaza. Così il New York Times racconta di piazze infuocate al Cairo, in Marocco, in Oman, Bahrein, a Tunisi, in Libano, in Irak, per non parlare dell’Iran. E poi gli 80 mila di Istanbul, letteralmente inferociti, a stento tenuti a bada dalla polizia.
Manifestazioni che crescono d’intensità anche in Asia: dal Pakistan al Bangladesh, dall’Indonesia fino alla Malesia. Con una mobilitazione sociale che rischia di esplodere, mano a mano che si scatenerà, in modo sempre più massiccio, l’attacco israeliano a Gaza.
26/10/2023
da Remocontro