I carri armati israeliani sono entrati in quartieri residenziali sempre più vicini al centro città: ci sono stati scontri, e 450 mila civili palestinesi sono già scappati, secondo i dati del Post. E le perorazioni statunitensi e le missioni ‘va e vieni’ del Segretario di Stato Blinken, un costante sberleffo. Salvo accordi segreti e inconfessabili.
Israele su Rafah, lenti ma senza ripensamenti
Negli ultimi giorni Israele ha proseguito «gradualmente ma in maniera costante» -precisa il Post-, il suo attacco contro Rafah, l’ultima città della Striscia di Gaza che ancora non era stata invasa dall’esercito israeliano, e dove erano rifugiati 1,4 milioni di civili palestinesi. 400, 450 mila di loro sono in fuga. Resta un milione di vittime senza tutela da parte di nessuno, ricorda l’Agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi, l’UNRWA di tanto odio israeliano. Martedì i carri armati israeliani sono entrati nei quartieri residenziali a est della città, dove secondo varie testimonianze ci sono stati scontri con miliziani di Hamas.
Fonti incerte, racconto spezzettato
Secondo alcuni residenti sentiti dall’agenzia Reuters, martedì l’esercito israeliano ha attraversato la strada di Salah al Din, che taglia tutta la Striscia di Gaza da nord a sud, ed è entrato nei quartieri di Brazil e Jneina, che si trovano a pochi chilometri a est dal centro della città. Ci sono stati scontri, di cui hanno parlato sia Israele sia Hamas, ognuno con la sua versione dei fatti. L’esercito israeliano ha detto di aver ucciso «numerosi terroristi armati», mentre Hamas ha detto di aver distrutto un mezzo di trasporto militare israeliano.
Attacco dal varco di Rafah
L’operazione dell’esercito israeliano contro Rafah era cominciata da sud-est, quando poco più di una settimana fa Israele aveva occupato la parte palestinese del varco di Rafah, uno dei passaggi di confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, documenta ancora il Post. Il varco di Rafah si trova nell’estrema periferia est della città, lontano dai principali quartieri abitati. Ma l’esercito sta lentamente avanzando verso nord-ovest, cioè verso il centro, raggiungendo zone via via più popolate dai civili. Più l’esercito avanza, più ci si aspetta che gli scontri saranno intensi e le conseguenze gravi.
Tra lunedì e martedì sono state uccise 82 persone, un numero basso rispetto ai primi periodi della guerra, quando le violenze-vendetta erano eccezionali, ma comunque uno dei più alti delle ultime settimane.
Nuova Nakba, o bombe o abbandono
«Nel 1948 ho portato via tra le braccia mio nipote, oggi mio figlio e i miei nipoti portano via me. Nel 1948 sono scappata a piedi, oggi scappo su un autobus con addosso pochi vestiti», racconta sul Manifesto Chiara Cruciati. «Fatima Hussein ha 87 anni, è undici anni più vecchia dello stato di Israele, Ad al Jazeera racconta la sua seconda Nakba nei giorni in cui si commemora la prima. L’impressione per i palestinesi è la stessa di 76 anni fa: la totale distruzione dello spazio di vita, l’evaporazione delle reti sociali e familiari, l’esodo».
A Gaza la fuga è inutile
«Si scappa da Rafah per essere ammazzati a Nuseirat», ancora il Manifesto. L’offensiva israeliana nel centro di Gaza colpisce i palestinesi che avevano ricevuto l’ordine di Tel Aviv di lasciare il sud «per sicurezza». Nell’anniversario della Nakba del 1948, la Palestina vive una catastrofe senza fine. Dalle agenzie di stampa internazionali sappiamo che l’offensiva israeliana torna con prepotenza nel centro e a nord. Colpite case e scuole Unrwa. Ed anche se le consegne di aiuti umanitari sono lentamente riprese, è difficile trovare cibo, acqua potabile e carburante, che serve per alimentare i generatori.
Gradualità d’attacco, prolungamento d’agonia
Questa operazione graduale dell’esercito israeliano, che pur avanzando costantemente non ha ancora avviato un attacco massiccio contro Rafah –concede il Post-, è forse spiegabile con le pressioni degli Stati Uniti, che stanno cercando di convincere il governo israeliano a non fare un’operazione su larga scala contro la città, per timore di una catastrofe umanitaria.
Tuttavia il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, anche su pressioni del suo governo di estrema destra, ha detto più volte che l’invasione di Rafah è inevitabile, e che è soltanto questione di tempo.
15/05/2024
da Remocontro