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Ex Ilva, mobilitazioni a Taranto e Genova: «È un piano di morte»

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Lavoro

20/11/2025

da Il manifesto

Luciana Cimino

POCO E NIENTE Dal primo marzo stop agli stabilimenti del nord. I sindacati in sciopero dopo il tavolo a Chigi: «È la fine della siderurgia»

Con il tasso produzione in calo da più di due anni e la crisi di interi settori industriali, il letargo del governo non poteva più durare. A mettere la sveglia a tutto volume ci hanno pensato gli operai che subiscono l’inconcludenza dell’esecutivo con la perdita del lavoro. In particolare quelli dell’ex Ilva che si trovano davanti a un altro rischio di chiusura degli stabilimenti e a un ministro delle Imprese che, anziché difendere l’occupazione, cerca di liberarsi del fardello degli impianti, invendibili in queste condizioni. Costi quel che costi, è cioè il futuro di interi territori.

IERI, DOPO L’ENNESIMO TAVOLO inconcludente di martedì scorso a Palazzo Chigi, hanno scioperato i dipendenti liguri e pugliesi del gruppo. A Taranto l’assemblea di oggi deciderà le forme di mobilitazione. Mentre a Genova gli operai hanno occupato la fabbrica di Cornigliano e sono scesi in corteo bloccando le strade con i mezzi di cantiere. Poi sono tornati in presidio e hanno passato la notte in tenda davanti allo stabilimento, «rimarremo in strada fino a quando non arriveranno risposte dal governo, abbiamo vissuto molte situazioni drammatiche ma non eravamo mai scesi così in basso», hanno annunciato.

A Novi Ligure i metalmeccanici si sono riversati sulla tangenziale. Ieri al presidio si sono recati anche il presidente della regione Liguria, Marco Bucci, e la sindaca di Genova Silvia Salis. I commissari intendono infatti fermare dal primo marzo gli impianti nel nord Italia, lasciando mille lavoratori per strada. Che si aggiungono a 5mila del resto d’Italia mandati dal governo in cassa integrazione o costretti a fare una formazione «inutile, dato che il primo marzo chiuderà tutto in assenza di un compratore che rilevi l’intero asset», spiegano Fiom, Fim e Uilm.

I SINDACATI ieri hanno convocato una conferenza stampa congiunta per smentire le ricostruzioni sull’esito del tavolo. «Sono state comunicate falsità nel comunicato di Palazzo Chigi: noi non abbiamo abbandonato il tavolo, né rotto le trattative, abbiamo chiesto che Meloni si prendesse la responsabilità di sospendere il presunto piano di decarbonizzazione, che in realtà è di chiusura, di prendere il tempo necessario a confrontarsi con i sindacati – ha precisato il segretario generale della Fiom, Michele De Palma – e di commissariare il ministro Urso che sta portando a schiantare l’industria di questo paese».

«Si continua a fare disinformazione sulle pelle delle persone – ha detto il leader della Uilm, Rocco Palombella – al tavolo abbiamo avuto la certezza verbale che l’Ilva è arrivata al capolinea: il piano del governo è un piano di morte e non è una drammatizzazione eccessiva, presentato nel silenzio della ministra del Lavoro Calderone e della presidenza del consiglio e con Urso che imputava colpe a tutti tranne che alla sua gestione di questi anni».

IL MINISTRO DELLE IMPRESE e Adi (Acciaierie d’Italia) si sono affrettati a comunicare, mentre era in corso la conferenza stampa dei sindacati, che «qualsiasi affermazione relativa a un’estensione della cassa di ulteriori 1.550 lavoratori è priva di fondamento». «Il punto è che la si può chiamare formazione, si può utilizzare uno strumento diverso dalla cig, ma l’obiettivo è sempre quello di fermare gli impianti», ha risposto De Palma. Di fatto il piano di esecutivo e Adi prevede che altre 1.550 persone si aggiungano ai 4.450 già attualmente in cassa integrazione e dei percorsi di formazione di 60 giorni per ammortizzare il tempo fino alla chiusura delle attività.

Dato che le offerte degli acquirenti latitano, il governo ha pensato di rendere ancora più appetibile l’offerta (che già era a un euro) liberandosi delle zavorre, e cioè della forza lavoro. Dal primo marzo, giorno in cui si fermeranno le fabbriche liguri «non ci saranno più 6.000 persone in Cig, ma la totalità dei lavoratori», avvisano i sindacati, visto che nel progetto dell’esecutivo «non c’è un’azienda che si riorganizza, non c’è un piano di sviluppo, non c’è un accordo di programma: solo la cig e il nulla». «Non c’è un imprenditore privato oggi che possa presentare un’offerta, se il governo pensa che sia un asset strategico deve farsi carico di un progetto di rilancio dove lo Stato abbia una parte importante», ha aggiunto Ferdinando Uliano della Fim Cisl.

«IL PRIMO MARZO è un giorno di lutto, saranno chiusi tutti gli stabilimenti, nessuno escluso», hanno ribadito Fiom, Fim e Uilm. Le sigle chiedono di tornare al progetto dei quattro forni elettrici e tre impianti Dri, in questo caso «con senso di responsabilità siamo pronti a sederci e trattare». Altrimenti, «useremo tutti gli strumenti di lotta democratici a disposizione, è giusto alzare il livello delle iniziative quando intere comunità vengono accompagnate a un futuro che non esiste, rimarranno solo ecomostri». «La mobilitazione dei lavoratori a Genova e quella di Taranto sono il segnale inequivocabile della tensione sociale in corso», ha affermato il presidente della provincia di Taranto, Gianfranco Palmisano. Il messaggio a Roma deve essere arrivato: oggi in consiglio dei ministri dovrebbe essere portato un mini decreto sull’ex Ilva.

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