19/11/2025
da Il Manifesto
EX ILVA .Fiom, Fim e Uilm annunciano sciopero di 24 ore e mobilitazione con assemblee in tutti i siti del gruppo dopo il fallimento del tavolo a Palazzo Chigi
«Abbiamo chiesto alla presidenza del Consiglio di ritirare il piano che prevede ulteriori 1.500 persone in cassa integrazione e di far intervenire direttamente la premier Meloni. Ci hanno risposto no: per questo dichiariamo sciopero nazionale a partire da domani (oggi ndr)». Così Michele De Palma, segretario generale Fiom-Cgil, uscendo ieri dall’incontro a Palazzo Chigi, ha spiegato la rottura totale con il governo.
La riunione, iniziata nel primo pomeriggio alla presenza del sottosegretario Mantovano, i ministri delle imprese Urso, del lavoro Calderone e degli affari europei Foti, i rappresentanti delle parti sociali e i commissari straordinari di Acciaierie d’Italia e del gruppo Ilva, è stata sospesa dopo tre ore. I sindacati chiedevano di ritirare il piano presentato dal governo una settimana fa, che prevede un aumento della cassa integrazione fino a 6.000 lavoratori. «Al rientro – ha spiegato Davide Sperti, segretario generale Uilm Taranto – c’era solo Urso, che ha detto che per i lavoratori c’era solo la formazione professionale». Si riferisce alla proposta del commissario straordinario dell’impianto, Giancarlo Quaranta, di coprire parte del periodo di cassa integrazione con una “formazione” di sessanta giorni, giudicata insufficiente dalle parti sociali. Che chiedono «un’azienda partecipata pubblica che possa gestire il processo di decarbonizzazione garantendo l’occupazione».
Una scelta che sembra sempre più lontana: nell’incontro di ieri è stata ribadito un quarto player extra Ue interessato all’acquisizione degli impianti di Acciaierie d’Italia, oltre ai tre investitori di cui si è già a conoscenza (Baku Steel, Flacks Group e Bedrock). Il governo, quindi, insiste nel suo piano, che secondo Ferdinando Uliano della Fim «va a ridimensionare le attività, perché ferma tutte le aree a freddo» con riflessi importanti su tutti gli stabilimenti, non solo quello tarantino. «Ci sembra la prospettiva di chiudere lo stabilimento per poi metterlo a disposizione di eventuali potenziali acquirenti», ha ribadito Uliano. Dal canto suo Urso ha assicurato di aver recepito le richieste degli enti locali: stop alla nave rigassificatrice a Taranto, obbligo di decarbonizzazione «nel tempo più breve possibile», chiusura degli attuali forni e costruzione di altri forni elettrici più un impianto preridotto. Tutto «messo nero su bianco», rivendica il ministro.
Intanto, mentre a Roma si discute, a Taranto continuano gli incidenti negli impianti. Ieri mattina nello stabilimento ex Ilva è stata segnalata una nuova “emissione anomala” all’altoforno 4, l’unico oggi in funzione. Non c’è stata evacuazione, ma i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza di Fim, Fiom e Uilm hanno parlato di «odore nauseabondo di presunta origine gassosa», aria «quasi irrespirabile» e «malesseri tra il personale presente». Hanno chiesto ad Arpa Puglia un intervento immediato e ricordato che «non è la prima volta» che episodi simili si verificano. Secondo quanto riferito dai commissari di Acciaierie d’Italia al tavolo, dalle verifiche non sarebbe emersa la presenza di sostanze pericolose per la salute all’interno dello stabilimento e il cattivo odore sarebbe arrivato da un’area esterna al perimetro. Una rassicurazione che contrasta con la percezione dei lavoratori e che non cancella le denunce dei sindacati: la massiccia cassa integrazione, sostengono, colpisce anche gli addetti alla manutenzione e alla sicurezza, rendendo gli impianti più fragili e meno controllati.

