Nessuno sostiene di voler allargare il conflitto in Medio Oriente ma molti lo istigano. Bombardamenti statunitensi in Siria, scontri a fuoco tra Israele ed Hezbollah. Mentre Netanyahu, dopo una pioggia di bombe senza precedenti, dà il via libera ai tank nelle strade di Gaza. Isolata dal resto del mondo, la Striscia lasciata sola dalla comunità internazionale alla vendetta di Israele.
Manifestazione pro Palestina negli Stati Uniti
Altra guerra Usa per procura o direttamente in campo?
In Medio Oriente, l’America di Joe Biden in guerra potrebbe entrarci direttamente. Giovedì sera, un gruppo di aerei d’attacco F-16 ha colpito depositi di armi e munizioni ad Abu Kamal, al confine tra Irak e Siria. Una base controllata dai miliziani sciiti, sostenuti dall’Iran. E quasi a sottolineare il ‘peso’ (e le eventuali conseguenze) dell’operazione, è intervenuto lo stesso Segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin. Con un comunicato, il capo del Pentagono ha chiarito che il via libera all’azione è stato dato dal Presidente Biden in persona, «che ha autorizzato le forze Usa ad attaccare il Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche e i suoi affiliati». Un’escalation della crisi, che mette in diretta rotta di collisione Washington e Teheran, specialmente dopo i recenti ‘blitz’, tentati con i droni, dalle milizie sciite, contro le truppe americane stanziate in Siria e Irak.
Le vere ragioni Usa a frenare l’attacco su Gaza
Il Wall Street Journal parte proprio questo evento, per rivelare il motivo principale nel ritardo dell’invasione di Gaza da parte degli israeliani: gli Stati Uniti chiedono tempo, ma non per motivi umanitari. La verità è che temono una devastante escalation della crisi, che li coinvolga, lasciando le loro attuali truppe presenti nell’area parzialmente ‘esposte’. Il titolo d’apertura del WSJ non lascia dubbi: «Israele accetta la richiesta degli Stati Uniti di ritardare l’invasione di Gaza». E ancora: «Il Pentagono si sta affrettando a schierare una dozzina di sistemi di difesa aerea della regione». Secondo il report, c’è molta preoccupazione per le basi americane sparse in una vasta area che comprende Irak, Giordania, Kuwait, Arabia Saudita, Siria ed Emirati Arabi Uniti.
«Per proteggere le forze Usa da missili e razzi – scrive ancora il Wall Street Journal – i funzionari statunitensi hanno convinto gli israeliani a trattenere finora l’invio di carri armati e fanti a Gaza, fino a quando i sistemi di difesa antimissile non potranno essere installati nella regione. E ciò avverrà, probabilmente, entro la fine di questa settimana».
Il coinvolgimento militare Usa
La verità, comunque, al di là di tutte le frizioni dirette con l’Iran degli ayatollah, è che Biden è profondamente coinvolto (o si è fatto coinvolgere) nell’ultimo atto, il più sanguinoso, della guerra israelo-palestinese. «Ci stiamo coordinando con gli Stati Uniti a un livello molto strategico e molto dettagliato – ha detto al WSJ un funzionario israeliano – e lo apprezziamo molto». La Casa Bianca ha anche spedito in Israele un pool di suoi generali, col compito di ‘consiglieri’, visto la loro esperienza di lotta contro l’Isis. Che, comunque, aggiungiamo noi, servono a ben poco, se non a controllare e a riferire. Perché, al di là delle dilettantistiche valutazioni e proposte fatte da Macron, Hamas e Isis restano due gruppi molto diversi per genesi, programmi e strategie di guerra. Trattarli allo stesso modo significa sbagliare e spostare il problema.
La verità è che Biden non riesce mai a trovare una linea d’equilibrio accettabile, una linea mediana tra il comprensibile sostegno dovuto all’alleato di sempre (Israele), e la necessità di salvare almeno i rudimenti del diritto internazionale, se non di quello umanitario, che a Gaza vengono quotidianamente calpestati.
Israele dopo il ‘gelo’ ucraino
Ora, dopo due anni di ‘gelo’ per la crisi ucraina, il pianeta non è in condizione di sostenere il peso geopolitico, che poi significa soprattutto economico, finanziario e commerciale, di un’altra crisi dirompente, come quella mediorientale. Si dovrebbe gettare acqua sul fuoco, ma Biden non ci riesce. E adesso, ci sono buone probabilità che con il suo approccio (documentato dai voti alle Nazioni Unite) prenda di petto anche l’Iran. Il Wall Street Journal fa la conta di un veloce riarmo americano in tutto il Medio Oriente. Una mossa che, secondo il Dipartimento di Stato e il Pentagono dovrebbe ricordare a tutti ‘chi comanda’ nell’era della unipolarità.
La potenza militare Usa schierata
Dunque, le cifre e i nomi che snocciola la stampa americana fanno impressione: due portaerei d’attacco (la Gerald Ford e la Dwight Eisenhower), una sfilza di incrociatori e caccia lanciamissili (Normandy, Carney, Ramage, Roosevelt, Hudner, Mar delle Filippine, Gravely, Mason), e la nave d’assalto anfibio Bataan. Per la verità, l’articolo inserisce, in bella evidenza, nella scheda di presentazione, anche la fregata lanciamissili italiana ‘Fasan’, come facente parte integrante della squadra d’attacco della portaerei Eisenhower. Qualcosa che dovrà essere spiegato da Roma. In ogni caso, il formidabile e improvviso schieramento americano nella regione, rischia di suscitare una reazione a catena, dagli esiti difficilmente prevedibili e gestibili.
«Questo rapido accumulo di forze militari Usa -conclude preoccupato il quotidiano economico statunitense- inteso a dissuadere Hezbollah dall’entrare nella lotta e a proteggere il personale e gli interessi americani, potrebbe trascinare Washington in un conflitto regionale più ampio, contro le milizie iraniane». E, a quel punto, ci permettiamo di dire, basterebbe solo un missile ‘sbagliato’, o forse manco quello, per trasformare un conflitto d’area in una Guerra santa. La peggiore di tutte.
28/10/2023
da Remocontro