24/08/2025
da Il Manifesto
Striscia continua. Nonostante gli ordini del tribunale di Roma relativi a 39 palestinesi, tra cui molti minori, ancora nessuna comunicazione dal ministero. I giudici richiamano la Convenzione sul genocidio, che impone obblighi anche all’Italia
Il tribunale di Roma ha ordinato al ministero degli Esteri di rilasciare, attraverso il Consolato di Gerusalemme, i visti di ingresso per motivi umanitari a trentanove palestinesi della Striscia di Gaza. C’è il marito di una cittadina italiana e altri cinque nuclei familiari, con moltissimi minori. Il manifesto ha potuto visionare tre provvedimenti, che nascono dall’azione legale degli avvocati dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi).
SONO DATATI tra il 6 e il 12 agosto e riportano l’ordine alle autorità italiane di emettere «immediatamente» o «entro sette giorni» i documenti necessari alle persone per lasciare la Striscia e venire in Italia. Le pratiche sarebbero state aperte, ma siamo ormai ben oltre la scadenza del termine perentorio e non è arrivato alcun visto. Né la Farnesina ha motivato le ragioni del ritardo.
«Sappiamo che la situazione è estremamente complessa e che tutto deve passare anche dalle autorità israeliane. Al momento, però, non abbiamo ricevuto nessuna comunicazione sulle eventuali attività svolte dall’Italia per dare seguito alla decisione del tribunale. I nostri assistiti non ce la fanno più, sono allo stremo. E qualsiasi ritardo può costare loro la vita», afferma l’avvocato Dario Belluccio.
ALLA BASE dei provvedimenti del tribunale di Roma c’è la Convenzione sul genocidio, in vigore dal 1951. Questa impone «specifici obblighi di prevenzione e repressione del genocidio, nonché di protezione delle vittime». L’Italia «non solo non può legittimamente ostacolare l’ingresso sul territorio dei ricorrenti in fuga da Gaza, ma anzi ha un obbligo rafforzato a consentirne l’accesso, quale misura di protezione minima e necessaria per prevenire la violazione irreparabile del diritto alla vita, all’incolumità personale e alla dignità umana», scrive il tribunale.
Per sollecitare il governo, il 19 agosto il vice-capogruppo alla Camera di Alleanza verdi e sinistra Marco Grimaldi aveva inviato una lettera al Viminale e alla Farnesina. Fino a ieri, non aveva ricevuto aggiornamenti sulla situazione. «Nonostante la gravissima emergenza umanitaria in corso e i provvedimenti giudiziari già emessi le autorità non hanno ancora dato seguito agli obblighi imposti dalla legge e dalla giustizia. Non si tratta di una richiesta politica, ma di un dovere giuridico e umanitario. Ignorare i decreti del Tribunale di Roma significa calpestare quei diritti e voltare le spalle a chi rischia la vita», ha dichiarato ieri Grimaldi.
LA STRADA del visto umanitario, regolato dalle normative europee, è diversa da quella delle evacuazioni sanitarie, che finora hanno permesso l’arrivo in Italia di 580 persone da Gaza. Altre 917 sono giunti dall’inizio del genocidio con i ricongiungimenti familiari (i numeri sono del ministero degli Esteri).
Per i palestinesi di Gaza, comunque, anche le evacuazioni per motivi di salute rischiano di essere sempre più in salita. La scorsa settimana il presidente Donald Trump le ha sospese per gli Stati uniti, al culmine di una campagna dell’influencer islamofoba e di estrema destra Laura Loomer basata su informazioni false e video travisati. Qualche giorno prima anche la premier danese Mette Frederiksen – presidente di turno del Consiglio Ue, socialdemocratica ma convinta del pugno di ferro anti-migranti – ha fatto sapere che a differenza di undici partner europei non avrebbe permesso l’arrivo dei palestinesi con gravi problemi sanitari per ragioni di sicurezza e coesione nazionale.
HA RICEVUTO critiche da diverse organizzazioni della società civile, da 900 medici firmatari di un appello e persino da esponenti del suo stesso partito. Ma la premier non ha cambiato idea, sostenendo sia più utile inviare aiuti, lanciati dal cielo. Una sorta di «aiutiamoli a casa loro», anche quando quella casa non c’è più.