«Gli israeliani dovrebbero voler fermare la guerra per il loro bene, se non per quello di Gaza». Un titolo giornalistico molto vicino ad un’accorata esortazione quello di stamane sul quotidiano Haaretz. Esiste una fetta di israeliani capaci di superare il trauma del brutale attacco, portato da Hamas il 7 ottobre, per riflettere sul futuro del proprio Paese oltre la guerra.
Destra religiosa settaria e razzista al potere
Una politica di sicurezza nazionale che non può essere mischiata con la vendetta e né, tantomeno, con la rappresaglia. Risentimenti che hanno portato a imbarcarsi in un’avventura bellica ad alto rischio. Ma, soprattutto, caratterizzata da costi esorbitanti, ancora tutti da calcolare. Una cambiale in bianco firmata da Netanyahu a occhi chiusi, magari per scaricare sul fronte esterno quelle che erano le tensioni di mesi di logoranti risse politiche alla Knesset e nelle piazze, per ragioni legate alla ‘controriforma’ della giustizia per salvare se stesso dalla accuse di corruzione e della galera. L’estrema sintesi della denuncia l’analista di Haaretz, Dalia Scheindlin
I prezzi della guerra in casa
«Servizi di salute mentale sommersi, un sistema educativo semi-funzionante, declino economico, imprese al collasso, preoccupanti incidenti armati e aumento della criminalità. Anche se la maggior parte degli israeliani non si opporrà alla guerra per il bene degli abitanti di Gaza, è bene che inizino a considerare l’enorme prezzo che sta pagando sulle loro stesse vite».
Il popolo sofferente di Israele
La giornalista, prima ancora di parlare di spese vive e flussi monetari, per interventi di sostegno, messi in moto dalla tragedia del ‘Sabato nero’, si sofferma sulle devastanti ricadute psicologiche. Un’intera popolazione è rimasta traumatizzata, per le modalità dell’attacco subito: ogni israeliano, in qualche modo, ha sofferto. «Circa 125 mila persone sono state sfollate – dice Haaretz – rinchiuse in un hotel, a volte un’intera famiglia in un’unica stanza. Molti soffrono di traumi diretti a causa degli attacchi e tutti soffrono di gravi incertezze su quando o se torneranno a casa».
‘Danni collaterali’ sul futuro
I danni collaterali della guerra sul sistema-paese israeliano. Il furioso impegno militare voluto da Netanyahu in poco tempo, per impostare la sua guerra totale su Gaza, sta distruggendo anche il futuro economico del Paese. Si parla di 30 miliardi di shekel, cioè circa 8,2 miliardi di dollari, come inizio. Ed il problema peggiore, è che non sembra esista un piano coerente di rientro finanziario. Di un ‘oltre’, di un dopo. Insomma, chiede Haaretz, chi paga? Non lo sa nemmeno l’ex governatore della Banca centrale di Israele, Karnit Flug e nemmeno la rinomata economista Arie Kampf dell’Academic College.
Gaza distrutta in quale Israele?
In pratica si vive alla giornata, forse sperando anche in questo caso nello ‘zio Sam’. Ora Biden, senza sapere per quanto. Fermo restando, comunque, che l’eventuale aiuto americano ha sempre un prezzo politico e bisognerà vedere se la leadership dello Stato ebraico sempre più segnata dalla ferocia sovranista e teocratica, sarà disponibile al baratto.
Lavoratori o tutti soldati?
Uno dei danni collaterali della guerra di Gaza è senz’altro da attribuire al richiamo dei riservisti. Si tratta di circa 350 mila persone, sottratte in gran parte al mercato del lavoro e al processo produttivo, con una ricaduta immediata sull’economia e sul vivere civile. Probabilmente, i richiami di diverse unità militari da Gaza, potrebbero riguardare proprio il ricollocamento di molti lavoratori-riservisti. Detto questo, Haaretz sottolinea come le previsioni sull’economia israeliana diffuse dall’OCSE, non sembrano affatto incoraggianti. Ma peggio è la lettura del rapporto della Banca centrale di Israele, che fornisce la misura dei marcati condizionamenti negativi indotti dalla guerra di Gaza.
Spreco di vite e di risorse
Il realismo che affianca alla strage di vite umane al spreco di risorse necessarie al futuro di chi resta. La crudeltà del confronto tra vite umane e questioni economiche. Ma è questa la vera sporca fotografia di ogni guerra. Ed ecco che quelle tante bombe su Gaza esplodono anche su Israele. «Una diminuzione dell’offerta di lavoro in tutti i rami dell’economia, specie nei settori dell’agricoltura e dell’edilizia». In sostanza, scrivono dalla Banca di Israele, non sono mancati solo i ‘riservisti’, ma anche i lavoratori palestinesi di Gaza e della Cisgiordania e di altre nazionalità. Inoltre, si è avuto un crollo del terziario, a cominciare dall’importante settore dell’offerta turistica.
La disumanità dell’economia oltre le bombe
I macroeconomisti dello Stato ebraico fanno i loro conti con pignoleria contabile, ma saltano (un po’ codardamente) il ‘dettaglio’ della durata del massacro umano-economico in corso, nelle mani di personaggi non solo inaffidabili ma anche pericolosi, non solo per i bersagli palestinesi.
«Si presume – dicono gli analisti – che l’impatto economico diretto della guerra abbia raggiunto il suo picco nel 4º trimestre del 2023. E che continuerà fino alla fine del 2024, man mano con intensità decrescente». Decrescente? Se le molto sospettabili tentazioni militari verso Cisgiorgania, Libano, Siria e l’eventuale incubo Iran si concretizzeranno, alla Banca centrale di Tel Aviv forse dovranno rifare i conti. Tutti noi dovremo rifarli.
05/01/2023
da Remocontro