05/12/2025
da Il manifesto
Legge di bilancio Un emendamento del governo Meloni allunga la pena fino a 46 anni e 3 mesi nel 2035. Le destre dicevano un tempo: "Aboliremo la Fornero". Alla fine stanno accelerando il tritacarne neoliberale: lavorare di più, sempre peggio e senza fine
Fine lavoro mai, si andrà in pensione sempre più tardi. L’inesorabile allungamento dell’età pensionabile verso i 70 anni diventerà sempre più realtà con l’emendamento depositato ieri dal governo Meloni alla legge di bilancio. L’articolo 43 del «maxi-emendamento» (di 30 pagine, compresa la relazione tecnica) allungherà progressivamente le finestre di decorrenza delle pensioni anticipate fino a sei mesi dal 2035 e porterà l’accesso alla pensione anticipata a 43 anni e 9 mesi di contribuzione nel 2035. I requisiti continueranno a crescere nel tempo penalizzando ancora di più i lavoratori.
A questo si aggiunge un altro colpo basso da parte del governo: chi potrà riscattare gli anni della laurea, per andare in pensione anticipata, si vedrà dimezzare il periodo. I quattro anni medi necessari per una laurea varranno la metà. Questo significa che i contributi regolarmente pagati non produrranno più pieni effetti previdenziali. Dal 2035 saranno potenzialmente tolti ai lavoratori, in media, fino a 30 mesi. Dunque, saranno costretti a lavorare di più. La segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione ha fatto un calcolo: «Chi ha riscattato un periodo di studi potrà arrivare addirittura a 46 anni e 3 mesi di contribuzione prima di andare in pensione. Siamo alla follia».
La logica è costringere le persone a restare al lavoro più a lungo, aumentando i periodi scoperti tra lavoro e pensione e producendo risparmi di spesa solo rinviando diritti maturati. Per Ghiglione si tratta di «una rottura gravissima del principio di affidamento, che colpisce soprattutto i lavoratori più giovani, chi ha carriere medio-alte con ingresso tardivo nel mercato del lavoro e chi ha investito risorse significative nel riscatto della laurea. Lo Stato cambia le regole a partita già giocata, come aveva fatto con i lavoratori pubblici con il taglio delle aliquote di rendimento».
L’inasprimento del sistema pensionistico, già ingiusto, non è una questione tecnica, ma politica. E non dipende dal solo governo Meloni, sta nella logica della cosiddetta «riforma Fornero» che allunga il periodo di lavoro adeguandolo all’aumento dell’età media della popolazione. In questa cornice, a parere di Ghiglione, l’attuale esecutivo realizzerebbe «un’impresa clamorosa, quella di superare persino la legge Monti-Fornero, rendendo il sistema previdenziale ancor più rigido, ingiusto e punitivo».
«Ve lo ricordate lo slogan «aboliremo la Fornero»? Era propaganda, come tutto il resto – ha detto Angelo Bonelli, deputato di Avs e co-portavoce di Europa Verde – Oggi la destra non solo non abolisce nulla, ma peggiora le condizioni, allunga i tempi, scarica i costi sulle spalle di chi lavora e di chi studia, mentre investe miliardi nella corsa al riarmo. È una scelta politica precisa e vergognosa: colpire il lavoro e il futuro per finanziare la guerra». Il doppio colpo dell’allungamento del tempo per la pensione anticipata (le «finestre») e il taglio fino a due anni e mezzo degli anni riscattati per la pensione sono stati definiti da Maria Cecilia Guerra (Pd) in questi termini: «L’età pensionabile secondo Meloni? Verso l’infinito e … oltre».
Ieri, a due mesi dal varo della manovra, è iniziato in commissione Bilancio del Senato il voto sugli emendamenti. Il clou è atteso tra domani e venerdì. Voto al Senato il 23. Foto-finish prima del 31 dicembre alla Camera.

