Il 19 maggio 2023 Unione Popolare ha depositato in Cassazione la “Legge di Iniziativa Popolare per un Salario Minimo di 10 Euro” lordi l’ora. Un’azione di concreta unità da parte delle forze politiche che compongono Unione Popolare e, finalmente, l’inizio di un reale percorso rivendicativo in grado di intercettare (e far proprie) le richieste di migliaia di lavoratrici e lavoratori. Un’azione politica unitaria che molte e molti elettric* e lavorat* aspettavano, l’incentivo a ritornare nelle piazze e nei luoghi di lavoro dopo le ultime chiamate elettorali per rivendicare che Unione Popolare non è una semplice “coalizione elettorale”, ma un soggetto politico di sinistra alternativa in grado di farsi cinghia di trasmissione delle rivendicazioni della classe di cui deve diventare punto di riferimento. Una chiamata che non riguarda solamente militanti delle forze politiche di UP, ma che va, imprescindibilmente, allargata anche a realtà sindacali e di movimento, a singole compagne e compagni che ne condividono il progetto. Da precario, che in tanti anni di lavoro nel settore dello spettacolo raramente ha avuto la possibilità di guadagnare almeno 10 euro all’ora, questo è sicuramente un grande passo in avanti. Per molti, purtroppo, l’insufficienza salariale di fronte al carovita – e all’“economia di guerra”, in questi ultimi mesi – è diventata una “norma” in Italia (il paese dell’Unione Europea con i salari più bassi e l’unico paese dell’Ocse in cui i salari sono crollati) a cui “ci si è abituati”, ma che deve essere, per noi, assolutamente superata. Una proposta di legge che, sicuramente, potrà anche influire sulle dinamiche che regolano i contratti d* lavorat* in appalto e delle cooperative (come quell* impiegat* nei settori delle pulizie e dello spettacolo): l’anello più debole dello sfruttamento lavorativo. Da lavoratore, da comunista, da antifascista, non posso fare altro che sostenere pienamente e attivamente la raccolta firme lanciata da UP, l’unica – dopo tante proposte di aumento salariale lanciate da altri partiti e rimaste, purtroppo, “lettera morta” – in grado di interpretare e dare una possibilità di attuazione alle parole dell’art. 36 della Costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. 50.000 firme da raccogliere in sei mesi, ma ce la faremo, col senso di responsabilità che i comunisti e le comuniste e la Sinistra hanno sempre dimostrato nella difesa dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.