07/11/2025
da Valori
Il rapporto di Forest & Finance mostra come in dieci anni le banche abbiano investito 395 miliardi di dollari nella deforestazione
Negli ultimi dieci anni, da quando è stato raggiunto l’Accordo di Parigi nel 2015, quasi nulla è cambiato. La temperatura continua a aumentare, gli eventi meteorologici estremi si moltiplicano, i ghiacciai si fondono, i mari collassano e le foreste spariscono. I problemi permangono, e le foreste spariscono, perché il settore finanziario continua a investire nella deforestazione. Lo dimostra il secondo rapporto annuale Banking on Biodiversity Collapse pubblicato dalla coalizione Forests & Finance.
Come spiega il rapporto, negli ultimi dieci anni le banche e i fondi d’investimento hanno continuato a investire soldi e aprire linee di credito che consentono alle aziende forestali e agroalimentari di espandere le proprie attività negli ecosistemi forestali tropicali rimasti nel mondo. E questo sta causando la distruzione di foreste e torbiere. Oltre a violare i diritti umani delle popolazioni indigene e delle comunità locali. La conclusione del rapporto è netta: nel decennio trascorso dal raggiungimento dell’Accordo di Parigi gli approcci volontari hanno fallito. È ora di regolamentare la finanza per la biodiversità.
Aumenta l’esposizione verso chi estrae e commercia in materie prime
Forest & Finance è una coalizione che comprende Rainforest Action Network, TuK Indonesia, Profundo, Amazon Watch, Milieudefensie, Ced Cameroon, Repórter Brasil, Observatório da Mineração, BankTrack, Sahabat Alam Malaysia e Friends of the Earth. Il gruppo monitora la trasparenza, le politiche, i sistemi e le normative del settore finanziario globale. Con lo scopo di impedire che gli istituti finanziari facilitino gli abusi ambientali e sociali delle foreste tropicali.
Questa edizione del rapporto Banking on Biodiversity Collapse – aggiornata a giugno 2024 per i flussi di credito e a luglio 2024 per gli investimenti – si concentra su banche e investitori che supportano oltre trecento aziende in sei settori di materie prime a rischio forestale – carne bovina, olio di palma, cellulosa, carta, gomma, soia e legname – nel Sud-est asiatico, in Sud America e nell’Africa centrale e occidentale. E i risultati sono pessimi.
Solo per quello che riguarda l’esposizione verso società che estraggono e commerciano materie prime a rischio deforestazione, emerge che nell’ultimo anno e mezzo, da gennaio 2023 a giugno 2024, le banche hanno erogato 77 miliardi di dollari di credito. Questo finanziamento è stato esteso con garanzie minime per proteggere gli ecosistemi forestali e i diritti umani. Pertanto, gran parte di esso ha consentito alle aziende con attività in questi settori di espandersi nelle foreste naturali, negli habitat critici e nelle terre indigene e tradizionali, causando il collasso della biodiversità
In dieci anni oltre 395 miliardi di dollari sono stati destinati ai settori a rischio deforestazione
Nonostante gli impegni internazionali che mirano ad arrestare e invertire la perdita di biodiversità entro il 2030, gli istituti finanziari hanno infatti aumentato i finanziamenti ai settori legati alla deforestazione. Il rapporto rivela che oltre 395 miliardi di dollari sono stati destinati ai settori a rischio forestale dal 2015, di cui appunto solo 77 miliardi di dollari solo nell’ultimo anno e mezzo. In particolare, gli investimenti in questi settori sono aumentati del 7% da settembre 2023. Mentre il credito è balzato a 53 miliardi di dollari nel 2023, rispetto ai 48 miliardi dell’anno precedente.
Il rapporto di Forest & Finance denuncia inoltre il ricorso a sistemi di certificazione imperfetti, programmi che non riescono a far rispettare gli standard critici, consentendo alle aziende di continuare a mettere in atto pratiche distruttive degli ecosistemi forestali. Per questo, accusa il rapporto, gli istituti finanziari che si affidano a queste certificazioni sono complici del greenwashing che perpetua ulteriormente il danno ambientale. E mentre le foreste tropicali in Amazzonia, nel bacino del Congo e nel Sud-est asiatico sono prossime al collasso ecologico, i dati del rapporto sottolineano come la finanza stia alimentando la crisi.
Il rapporto di Forest & Finance smaschera banche e fondi d’investimento
Tra gennaio 2018 e giugno 2024, 30 banche hanno erogato prestiti e sottoscrizioni a 159 aziende del settore delle materie prime a rischio forestale operanti nel Sud-est asiatico, in Sud America e nell’Africa occidentale e centrale. Questa davvero poco onorevole classifica è guidata da Banco do Brasil (95 miliardi di dollari). Poi le brasiliane Bradesco (14,7 miliardi) e Itaú Unibanco (12,1). Prima tra le europee è invece la spagnola Santander (9,4). Seguita dall’olandese Rabobank (8,8) e dalla francese Bnp Paribas (6,4).
In generale, il credito bancario a rischio forestale è aumentato del 35% tra il 2016 e il 2024, passando da 35 miliardi di dollari a 47,1 miliardi di dollari. E mentre le banche hanno pubblicamente dichiarato di allinearsi agli obiettivi climatici e ambientali, la metà di queste ha invece aumentato la propria esposizione. Il rapporto di Forest & Finance mostra quindi le partecipazioni azionarie storiche per il periodo 2018-2023 in base alle posizioni di fine anno e alle posizioni a luglio 2024. Tra i 30 maggiori azionisti istituzionali a dominare sono le Big three americane. State Street ha aumentato gli investimenti del 210%, mentre BlackRock si è limitato a un +61% e Vanguard a un +28%. Anche qui spiccano gli europei con la spagnola Santander (+1995%), la svizzera Ubs (+460%) e la francese Crédit Agricole (+281%).
Le raccomandazioni del rapporto di Forest & Finance
«Il settore finanziario deve agire ora per arrestare la perdita di biodiversità e proteggere la vita sulla Terra. I governi devono rafforzare la regolamentazione del settore finanziario per supportare le banche centrali, gli enti di regolamentazione finanziaria e le autorità di vigilanza affinché includano criteri di biodiversità e diritti umani come elementi centrali del loro mandato», spiega il rapporto di Forest & Finance. «Spostando la finanza da settori distruttivi e rifiutando sistemi di certificazione imperfetti e iniziative volontarie inefficaci, possiamo salvaguardare gli ecosistemi promuovendo al contempo uno sviluppo equo e mezzi di sussistenza sostenibili».

