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Forse la tregua dopo i 100mila morti a Gaza

Forse la tregua dopo i 100mila morti a Gaza

Il «sì» di Hamas alla tregua proposta dal Qatar. Ora tocca a Netanyahu e al ‘gabinetto di sicurezza’. Hamas chiede garanzie per la fine totale della guerra. Tel Aviv vuole invece lasciarsi le mani libere. Intanto un nuovo studio indipendente rivede le stime delle vittime palestinesi a Gaza. 100mila morti e Hamas non esagera, anzi.

Sempre l’incognita Israele-Netanyahu

La proposta di accordo di cessate il fuoco a Gaza avanzata dai mediatori Qatar ed Egitto, con la collaborazione degli Usa Il si in attesa di ufficializzazione da parte di Israele e di Hamas, che ha chiesto solo lievi modifiche al testo. A riferirlo sono state la televisione Al Araby del Qatar e poi l’agenzia Reuters. L’intesa dovrebbe essere annunciata ufficialmente da Donald Trump lunedì quando incontrerà negli Usa il premier israeliano Netanyahu. Resta l’incertezza: le modifiche richieste da Hamas potrebbero fornire a Netanyahu il pretesto per continuare l’offensiva, e il personaggio fa temere questo e peggio ancora.

Possibile accordo su cosa?

La cronaca sempre attenta di Michele Giorgio sul manifesto. Il possibile accordo prevede un cessate il fuoco di due mesi, durante il quale saranno rilasciati dieci ostaggi israeliani ancora in vita e, in un secondo momento, i resti di diciotto ostaggi deceduti, in cambio della scarcerazione di centinaia di prigionieri politici palestinesi detenuti in Israele. Con Hamas e altre organizzazioni palestinesi rimarrebbero altri dieci ostaggi vivi e dodici deceduti. La bozza di accordo, mediata dal Qatar e basata sul cosiddetto «accordo Witkoff» – pubblicata ieri dal giornale Haaretz – precisa che otto ostaggi vivi saranno rilasciati il primo giorno del cessate il fuoco e altri due il cinquantesimo giorno. Cinque corpi di ostaggi saranno restituiti a Israele il settimo giorno della tregua, altri cinque il trentesimo giorno e gli ultimi otto il sessantesimo giorno.

Stati Uniti mediatori sospetti

Gli Stati uniti, sempre secondo la bozza, si impegnano a garantire la prosecuzione dei negoziati fino al raggiungimento di un accordo definitivo. «I garanti e i mediatori assicureranno che il cessate il fuoco continui per un periodo di 60 giorni e che si svolgano serie discussioni sulle disposizioni necessarie per un cessate il fuoco permanente». Il piano prevederebbe anche ritiri – ma solo parziali – delle truppe israeliane da Gaza. Secondo il quotidiano Yediot Ahronot, «l’esercito rimarrà anche nella zona cuscinetto (creata da Israele dentro Gaza)», che sarà ulteriormente allargata. «Il nuovo perimetro – aggiunge – si estenderà da 1,2 a 1,4 chilometri all’interno della Striscia e le forze israeliane non si ritireranno dal Corridoio Filadelfia», sul confine tra Gaza e l’Egitto. Ieri Israele ha annunciato di avere il controllo operativo su circa il 65% della Striscia.

Aiuti umanitari ai sopravvissuti

Non è chiaro come avverrà la distribuzione degli aiuti umanitari, e se ad assistere la popolazione civile saranno di nuovo le Nazioni unite e le Ong internazionali o se l’incarico di distribuire i pacchi alimentari resterà affidato – con tutte le conseguenze mortali già viste per centinaia di civili – alla fondazione americana Ghf. Si dovrebbe assistere al ritorno di parte della popolazione sfollata in alcune aree del nord della Striscia. Netanyahu, sottoposto a forti pressioni dell’opinione pubblica – e di parte dei comandi militari – per la liberazione degli ostaggi attraverso un accordo, discuterà stasera con il gabinetto di sicurezza la proposta di cessate il fuoco e le risposte di Hamas. I suoi alleati di estrema destra nel governo sono delusi, respingono la tregua e chiedono di continuare a distruggere Gaza.

Netanyahu per la sua sopravvivenza politica

«Netanyahu, che non può dire di no a Trump, deciso a ottenere la tregua, si prepara a rivendicare il rispetto della sua condizione principale: la possibilità di riprendere l’offensiva al termine dei 60 giorni di tregua», ci avverte Michele Giorgio. Opportunità che aveva già sfruttato lo scorso 18 marzo, quando ordinò di attaccare di nuovo Gaza, mettendo fine unilaterale al cessate il fuoco scattato il 19 gennaio. Il suo obiettivo, afferma, era e resta la distruzione di Hamas e l’impedire che il movimento islamico resti al potere a Gaza. La leadership di Hamas è consapevole di non aver ottenuto la fine totale dell’attacco israeliano e che Netanyahu potrebbe ordinare un nuovo assalto. Tuttavia, ha in mano la carta degli ostaggi israeliani che resteranno a Gaza come garanzia per i colloqui volti alla cessazione definitiva dell’offensiva israeliana.

Civili di Gaza sempre ostaggi

Il ritiro solo parziale dei militari israeliani da Gaza inevitabilmente ostacolerà l’avvio della ricostruzione e il miglioramento delle condizioni dei civili. Ma allo stesso tempo però, i vantaggi sono significativi per il movimento islamista. Il cessate il fuoco permetterà ad Hamas di riorganizzare le forze militari e addestrare nuovi combattenti, eliminare la milizia pro-Israele di Abu Shabab a Rafah e di avere la meglio su quella che l’esercito di occupazione starebbe tentando di formare nel nord di Gaza. Inoltre, il movimento potrà riavviare anche l’«attività di governo», dimostrando che non potrà essere escluso da qualsiasi soluzione politica futura per Gaza. Ed è questa la sostanza della sconfitta politica che Netanyahu cerca di nascondere.

Centomila morti. Sui numeri Hamas non esagera, anzi

Intanto il bilancio delle vittime della guerra a Gaza è persino peggiore di quanto dichiara il ministero della salute della Striscia. Lo sostiene un nuovo studio indipendente realizzato da ricercatori delle università di Londra (Regno Unito), Princeton e Stanford (Usa), Oslo (Norvegia) e Louvain (Belgio), aiutati nel lavoro sul campo dal Palestinian Center for Policy and Survey Research di Ramallah (Cisgiordania).

  • La ricerca stima che fino al 5 gennaio 2025 le vittime dirette palestinesi delle operazioni militari siano state circa 75.000, e comunque comprese tra le 64.000 e le 86.000. A queste vanno aggiunte altre 8.000 morti – tra 5 e 12 mila con il 95% di probabilità secondo lo studio – «non violente» ma comunque conseguenti alla guerra. In totale, oltre 80.000 morti fino a gennaio. Cioè molti di più rispetto a quelli denunciati dal ministero, bollati come propaganda dalla stampa filoisraeliana.

Lo studio Occidentale

  • «La stima di circa 45.650 vittime fornita dal ministero è inferiore di circa il 39% alla nostra stima centrale e del 28% al limite inferiore del nostro intervallo di incertezza per le morti violente» scrivono i ricercatori. «Questo suggerisce che il ministero della salute di Gaza non abbia esagerato il numero delle vittime della guerra. Dato che i numeri ufficiali più aggiornati parlano di circa 60.000 morti, le vittime reali potrebbero dunque essere già quasi centomila».

Dettagli della strage

La ricerca non ha ancora passato l’esame della «revisione tra pari», ma è disponibile su Internet da alcuni giorni, avverte Andrea Capocci. L’autorevolezza degli autori l’ha fatta prendere sul serio anche dalla redazione online della rivista Nature, che ne ha pubblicato un’ampia sintesi. Le stime indipendenti sul bilancio delle vittime sono rese particolarmente complicate dall’inaccessibilità della Striscia e dallo stato disastroso delle strutture sanitarie dopo quasi due anni di bombardamenti.

  • Secondo i dati disaggregati, sarebbero stati quasi 23.000 i morti al di sotto dei 18 anni di età e circa 3.000 le vittime con più di 65 anni. I ricercatori hanno stimato anche il numero di vittime «civili», cioè non assimilabili ai militanti di Hamas impegnati nei combattimenti: minori, anziani e donne sarebbero il 56% del computo totale dei morti.

Popolazione civile bersaglio

Se queste cifre corrispondono al vero, sono la dimostrazione che le operazioni militari condotte da Israele non hanno mirato alla ‘difesa’ dagli attacchi jihadisti ma hanno colpito la popolazione indiscriminatamente. Lo stesso esercito israeliano ha ammesso più volte che anche nei raid con obiettivi specifici è fisiologico che le vittime innocenti siano la maggioranza. Pur nelle inevitabili incertezze di simili proiezioni statistiche, lo studio conferma che i numeri dei sanitari gazawi sono da prendere sul serio e non semplice propaganda di guerra. Anche altre ricerche accademiche indipendenti hanno confermato e superato le cifre raccolte sul campo dai medici e dalle residue strutture amministrative della Striscia, che con sempre più fatica riescono a rispondere ai bisogni della popolazione e a raggiungere le aree più a rischio.

  • Alcune, anzi, avevano calcolato che il numero di morti indirette dovute alla fame o alla mancanza di cure fosse assai più alto, addirittura quattro volte superiore a quello delle vittime dirette: se fosse così, le perdite a Gaza si conterebbero nell’ordine di diverse centinaia di migliaia. Ma con una realtà già così feroce, di esagerazioni non sente il bisogno nessuno.

06/07/2025

da Remocontro

Ennio Remondino

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