09/10/2025
da Remocontro
L’unica buona notizia per Keir Starmer è quella di avere vinto a mani basse le elezioni legislative l’anno scorso. E una maggioranza di acciaio al Parlamento di Westminster. Per il resto, il Regno Unito, in questo ciclo economico, è messo peggio della Francia. Quindi, i ‘grandi malati’ d’Europa sono almeno due. Anche se, utilizzando il grandangolo, la lista si allunga.
In Francia è già crisi di sistema
Sostanzialmente esiste, di base, una crescente difficoltà dei sistemi politico-sociali occidentali (ed europei in particolare) a garantire gli stessi livelli di welfare raggiunti fino a qualche anno fa. Il fenomeno è complesso e coinvolge fattori congiunturali e anche scelte di governance sbagliate. In particolare, alcuni settori della previdenza sono entrati nel mirino di esecutivi ansiosi di far quadrare i conti pubblici. Debiti comunque accumulati, in buona misura, anche per colpa di pratiche di malgoverno. Prima di tutto è stata la spesa per i sistemi pensionistici a far sballare le previsioni, seguita dalla pessima infiltrazione della politica (urbi et orbi) nella gestione della sanità. Tutto è stato poi complicato dal perverso rapporto tra spesa pubblica e consenso, che nelle democrazie occidentali resta un passaggio onnipresente del confronto elettorale. Ragion per cui si è preferito più spesso fare debiti, piuttosto che aumentare le tasse o puntare su sanguinosi tagli di spesa sociale. Ma ora i nodi sono venuti al pettine e, semplicemente, il prossimo Premier francese ha zero margini di manovra per la legge di bilancio. I numeri sono come pietre e indicano che l’Esagono è sull’orlo di una crisi del debito sovrano. Il che non significa certo che finirà come la Grecia, ma vuol dire di sicuro che immetterà ancora più instabilità sui mercati europei. Perché il suo difficile momento economico si accompagna a una fase di ingovernabilità politica, divenuta ormai cronica.
Ma a ‘fondamentali’ Londra sta peggio
Sui parametri fondamentali dell’economia il Regno Unito non sta certo meglio della Francia. Anzi, si può senz’altro affermare che certi valori predicono uno scenario che potrebbe rivelarsi altrettanto inquietante per i mercati. Innanzitutto, i tassi di interesse sui bond a 10 anni sono saliti al 4,7%, cioè ben un punto in più rispetto a quelli francesi. Mentre il deficit di bilancio su Pil sfiora il 5% e la bilancia dei conti correnti, con un -3,2% è la seconda peggiore d’Europa, dopo la Grecia. Ma dove il Regno Unito fa incrociare le dita a chi ancora investe nei suoi titoli è nel campo minato dell’inflazione: con un 3,8% Sir Keir Starmer batte tutti e di gran lunga (a parte l’Austria) e comincia a guastare i sonni del governatore della Banca d’Inghilterra. Si, perché alzare ancora i tassi per difendersi significherebbe aumentare il servizio del debito e quindi il buco di bilancio. Che per ora arriva a una somma, compresa tra 40 e 45 miliardi di sterline, già assai complicata da reperire. E, in effetti, visto come vanno le cose, il governo laburista deve darsi una mossa, perché un nuovo temibile avversario si avvicina al galoppo. Si tratta di Reform UK, il partito dei populisti di Nigel Farage, che assorbe consensi come una spugna ogni giorno di più.
C’è maretta dentro il Labour
Dunque, nelle ultime settimane i rendimenti obbligazionari britannici hanno raggiunto il livello più alto degli ultimi 30 anni. E la sterlina ha avuto alti e bassi. Una sterlina che cala accompagnata da rendimenti più elevati è una ricetta per la catastrofe finanziaria pubblica. Una congiunzione micidiale, specie se si inserisce in un ciclo di stagnazione, con esigenze di tagli (alla spesa) e tasse (in aumento). Il problema più scottante, anche per Londra, rimane però quello della gestione (e del finanziamento) del sistema pensionistico. Parliamoci chiaro: è questa la ‘madre’ di tutte le questioni sociali nell’Europa contemporanea. Il motivo? Faciloneria della politica, calcoli sbagliati e promesse non mantenute. Ma a fronte di un disastro annunciato, con quale faccia vai poi a dire a chi ha lavorato una vita di ‘stringere la cinghia’, perché bisogna comprare i carri armati per la sicurezza nazionale? E, infatti, si guardano bene dal pronunciare questa equazione. Più prosaicamente parlano di «sacrifici in tempo di crisi». Insomma, ci siamo capiti. Hanno sbagliato le previsioni di spesa (tutti) e adesso non sanno come girare la frittata. Perché (segnatevelo) di questo passo i soldi per pagare le pensioni in Europa non basteranno più. E allora? Beh, certo quelli che comprano armi per giocare alla guerra saranno i primi a essere cacciati dagli elettori. Intanto, però, dentro il Labour vengono a confronto le due anime, «quella ‘di lotta’ e quella ‘di governo’». Si confrontano attraverso l’aspra campagna elettorale per la carica di vice-presidente del partito. Una è incarnata dalla barricadera Lucy Powell, che vorrebbe spostare il Labour sulle sue più tradizionali posizioni progressiste. L’altra, invece, vede scendere in campo la ‘pupilla di Starmer, Bridget Phillipson, che è anche Ministro dell’Istruzione. «Sono orgogliosa dei risultati ottenuti dal Partito laburista – ha detto la Powell – ma dobbiamo riconoscere che sono stati commessi degli errori. Non possiamo nascondere il fatto che le cose non stanno andando bene».
Farage il convitato di pietra
La Powell si riferisce al crescente successo di Nigel Farage, che col suo ‘Reform UK’ sta praticamente intercettando tutti i voti degli scontenti del Paese, che cominciano a essere una massa imponente, difficilmente calcolabile. Ecco perché adesso il popoulista Farage, che prima veniva trattato quasi come una macchietta della politica, adesso è diventato un temibilissimo outsider. E ancora ci teniamo larghi. La verità è che la crisi dei tradizionali partiti di massa ha prima decimato i Conservatori, e adesso sta colpendo dolorosamente e di rimbalzo anche i laburisti. Perché gli oggettivi problemi finanziari del Regno Unito, aggravati dalla Brexit, ora premiano chi non è mai stato al governo. Una prova? Quest’anno, alle comunali Reform UK ha raddoppiato o triplicato i consensi. Ma quello che fa più paura e che continua a guadagnare terreno in tutti i polls, e non solo a scapito dei Conservatori. Pesca abbondantemente anche fra gli indecisi e, addirittura, tra liberali e qualche laburista pentito. Una prova? Ha scritto Polly Toynbee, editorialista del Guardian: «Il Regno Unito ha bisogno del Partito Conservatore. Questa è una frase che non mi sarei mai aspettata di scrivere. Per gran parte della mia vita sotto il loro feudo, il ‘partito naturale del governo’ ha comandato i media, le imprese e le donazioni politiche. Ha presieduto, soprattutto a partire dagli anni ’80, alla supremazia del capitale a scapito del lavoro, delle altissime disuguaglianze, del degrado dei servizi pubblici e dell’individualismo egocentrico. Dovrebbe quindi essere un piacere leggere ovunque il suo necrologio, visto che apparentemente si trova ad affrontare ‘l’oblio’, ‘l’abisso’ e ‘l’estinzione’. La prospettiva di una Gran Bretagna senza un Partito conservatore è difficile da comprendere.
Paura a destra dei Conservatori
- Ma potremmo sentirne la mancanza se venissero sostituiti da qualcosa di peggio. La prossima iterazione della destra rischia di essere il mondo trumpista e persecutorio degli stranieri di Nigel Farage e Tony Robinson. Il discorso di apertura della conferenza di Kemi Badenoch ha spinto il suo partito ancora più avanti su questa linea: imitando le sue politiche, rende il ‘faragismo’ rispettabile». Che dire? Evidentemente, il populismo inglese è talmente temibile e in grado di proporre una sorpresa ‘alla francese’, che persino un giornale di antico progressismo come il Guardian arriva ad augurare «lunga vita al Partito conservatore», pur di non ritrovarsi tra i piedi Reform UK.