20/12/2025
da Remocontro
L’Europa ha troppi ‘grandi malati’. Paesi-architrave della storia e della crescita dell’Unione, che adesso si dibattono in profonde crisi economiche o politiche, che influenzano il funzionamento delle istituzioni comunitarie. Il Regno Unito, per la verità, con la Brexit ha già abbandonato la nave UE e nonostante ciò si trova sempre in un mare di problemi. La Germania invece, prima con Scholz e ora con Merz, è una illustre ‘new entry’ nel club dei depressi. Mentre la Francia c’è dentro da un pezzo, e ora rischia di aggravare ancor di più la sua posizione, già assai complicata.

French President Emmanuel Macron, left, speaks with Minister Sebastien Lecornu
A Parigi emergenze a ripetizione
Non è un bel momento per Emmanuel Macron e per la Francia, in generale. Stanno venendo al pettine i nodi accumulati in anni di governance che, viste col senno di poi, si sono dimostrate più preoccupate di conservare le poltrone che di preparare un futuro solido per il Paese. Questo ha riguardato in particolare il settore pensionistico e la traiettoria degli impegni di spesa per la previdenza sociale. Intendiamoci: è un problema diventato ormai strutturale, con il quale tutte le grandi democrazie industriali del Vecchio continente stanno facendo i conti. Semplicemente, chi ha calcolato di erogare i benefit dello Stato sociale al tempo che fu, non ha saputo proiettare alcuni parametri e oggi la spesa relativa nei bilanci pubblici cresce in modo esponenziale. Ma se a questa ‘deriva’ generale si sommano ‘altre emergenze, ecco che allora il sistema finanziario dello Stato entra in fibrillazione. E scatta l’effetto ‘coperta-corta’. I soldi non bastano a onorare gli impegni e per trovare una soluzione si devono tagliare le spese. O bisogna imporre nuove tasse. In entrambi i casi, tali mosse fatte da qualsiasi governo diventano elettoralmente impopolari ed erodono il consenso. La Francia (come il resto d’Europa) si è trovata in mezzo alle onde gigantesche di una tempesta perfetta, stretta tra gli effetti della pandemia e le turbolenze economiche di una nuova Guerra fredda, dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Il Pil è crollato, la disoccupazione è aumentata e soprattutto ha cominciato ad allargarsi il deficit pubblico. Il resto lo hanno fatto le paturnie di Macron che, in un’epoca di vacche magre, si è impegnato scrupolosamente a moltiplicare le spese per il riarmo. Forse in un rigurgito di nostalgia per la passata grandeur. E come risultato ha perso le elezioni, ha nominato Primi ministri a ripetizione per governi di minoranza attaccati con lo scotch (cambiandoli come le cravatte) e finora non è riuscito manco a far approvare la fondamentale legge di bilancio. Insabbiata in Parlamento, in un clima da rissa all’arma bianca. Insomma, una catastrofe.
Un bilancio… troppo sbilanciato
Pur di restare all’Eliseo, nonostante gli schiaffoni presi nelle recenti battaglie politiche, il Presidente Macron ha firmato un patto col diavolo. Si fa per dire, ovviamente, ma in questo caso c’è del vero, perché si è messo d’accordo con gli antichi nemici socialisti, che hanno promesso di sostenere il governo di Sébastien Lecornu. E questo è niente. Dato che il glorioso PS, che fu il partito di un eroe pacifista come Jean Jaurès, si è turato il naso e ha ottenuto in contraccambio nientemeno che l’annullamento della riforma delle pensioni. Si, avete capito benissimo, la tanto strombazzata rivoluzione del sistema previdenziale Macron se l’è messa sotto la suola delle scarpe. A questo punto, soprattutto al Senato, c’è stato uno spostamento verso destra di una fetta di voti (quelli dei Repubblicani) che prima avrebbero voluto votare il bilancio. Ma che adesso si rifiutano di farlo, perché il buco che si crea dovrebbe essere colmato da nuove tasse. E la Francia ha già un record formidabile di pressione fiscale. «Non ci sarà un secondo miracolo di Natale per Sebastien Lecornu». scrive Le Figaro. Dopo l’approvazione definitiva da parte dell’Assemblea Nazionale del disegno di legge sul finanziamento della previdenza sociale martedì scorso, il bilancio dello Stato stesso non si è concretizzato. I sette senatori e membri del Parlamento, riuniti a porte chiuse venerdì mattina in una sala del Palais Bourbon, hanno rapidamente riconosciuto che non avrebbero raggiunto un accordo sul disegno di legge finanziaria, istituendo così una commissione mista ‘non conclusiva’. Molto rapidamente, ancor prima che i parlamentari lasciassero la sala dove avevano discusso, il Primo Ministro ha riconosciuto il fallimento, lamentando sui social media «la mancanza di volontà di raggiungere un accordo da parte di alcuni». Dopo le concessioni ottenute dal Partito socialista sul disegno di legge sul finanziamento della previdenza sociale – in particolare la sospensione della riforma delle pensioni e l’aumento del CSG (Contributo sociale generale) sui redditi da capitale – sembrava ormai improponibile per i Repubblicani accettare le nuove richieste del partito di Olivier Faure e Boris Vallaud. «Queste richieste – conclude il giornale di Parigi – includevano, ad esempio, un aumento dell’aliquota fiscale sui redditi elevati, una sovrattassa sulle grandi società e il ripristino dell’imposta sulle holding, approvata dall’Assemblea in prima lettura». Lecornu, intanto, ci metterà una pezza con una legge tappabuchi. Spera di ‘convincere’ tutti entro il 31 dicembre, anche se le previsioni raccolte all’Assemblea Nazionale e al Senato sembrano alquanto cupe.
Fillon a Macron: ‘Dimettiti’
Intervistato da Le Figaro l’ex Primo ministro François Fillon sembra quasi scandalizzato per la piega che hanno preso gli avvenimenti. «Nel 2017 – afferma – ho chiesto di votare per Emmanuel Macron. Non avrei mai potuto immaginare che otto anni dopo il Paese si sarebbe trovato in una situazione simile. Macron significa un miliardo di euro di debito aggiuntivo ogni giorno lavorativo. Certamente, da François Mitterrand in poi, ogni Presidente della Repubblica ha aumentato il deficit e accumulato debito. Il governo che ho guidato non ha fatto eccezione a questa tendenza. Siamo stati tutti costretti a gestire le crisi come pompieri che spengono un incendio. Credevamo tutti che la crescita avrebbe ridotto il debito. Così facendo, abbiamo trascurato la questione demografica, la deindustrializzazione dell’Europa in generale e della Francia in particolare. Abbiamo sottovalutato le conseguenze di una tassazione e di una regolamentazione eccessive, che hanno distrutto la nostra competitività».
- E, in cauda venenum, Fillon aggiunge: «Se fossi Emmanuel Macron, trarrei le dovute conclusioni dalla situazione del Paese e mi dimetterei per non sprecare diciotto mesi di tempo della nazione. Se decide di terminare il suo mandato, allora dovrebbe sciogliere l’Assemblea Nazionale e dare voce al popolo francese».

