Dal primo sostegno a Macron, che non ha mai mollato, all'inchiesta sui presunti incarichi fittizzi agli assistenti parlamentari a Bruxelles per cui è stato assolto (ma la procura ha fatto appello): la carriera del politico che sognava Matignon (e l'Eliseo)
Un primo ministro espressione di un mondo che non c’è più, ma che sostiene di poter parlare con tutti. Emmanuel Macron, auto-incoronatosi imperatore di una Francia che perde ogni giorno un pezzo di potere, ha scelto François Bayrou per tentare l’impresa impossibile: riportare verso il centro, sparito nelle urne, un Paese che guarda sempre di più agli estremi. Un profilo (leggermente) più politico e meno burocrate del predecessore Michel Barnier, ma praticamente identico nella sostanza. Cambiare quasi niente per ottenere cosa? Comunque la si guardi, la strategia dell’Eliseo resta l’ennesima prova di forza con gli elettori. E i primi a saperlo sono i due protagonisti delle ultime ore. Pare che si siano persino scontrati a pochi minuti dall’incarico: retroscena o verità, una parvenza di autonomia al primo ministro non può fare che bene. Ma, che si piacciano davvero o meno, il leader centrista dei MoDem resta un alleato della prima ora di Macron e, ora, rappresenta l’ultima chance di un presidente della Repubblica sempre più in declino.
Bayrou arriva a Matignon come il quarto primo ministro dell’anno dopo Elisabeth Borne, Gabriel Attal e Michel Barnier. Non proprio una serie di buon auspicio. “Ora inizia la riconciliazione”, ha detto. Ed è il suo auspicio. 73 anni, proprio come il primo ministro uscente, inizia la sua carriera come insegnante di lettere a Pau, paese nei Pirenei Occidentali che rappresenta la sua roccaforte e dove è tutt’ora sindaco. Il mondo della politica si apre per lui a 29 anni, quando inizia a lavorare per il gabinetto dell’allora ministro dell’Agricoltura Pierre Méhaignerie. La prima volta in un esecutivo risale al 1993, quando viene nominato ministro dell’Istruzione nel governo di Edouard Balladur. Il suo mandato sarà funestato dalle lunghe serie di proteste in difesa della scuola pubblica, mentre lui si fa portavoce di aumentare i fondi per gli istituti privati. Mantiene comunque l’incarico anche nei due successivi esecutivi di Alain Juppé. E’ membro dell’Assemblea nazionale dal 1986 al 2012, con qualche breve interruzione. Dal 1999 al 2002 è parlamentare europeo.
La carriera politica va avanti senza particolari problemi, ma l’ambizione di Bayrou non si ferma. La testa è alle elezioni presidenziali e si candida per tre volte: 2002, 2007 e 2012. Una corsa che, come previsto, non porta molto lontano. Ma è proprio in queste fasi che iniziano a vedersi le sue tendenze a muoversi da un campo all’altro. Nella prima candidatura, si fa ricordare per lo schiaffo dato a un giovane che, disse, “cercava di mettermi le mani in tasca”: erano tempi in cui la sicurezza cominciava a comparire come tema cruciale delle campagne elettorali e lui ne cavalca l’onda come un promettente leader a destra. Nel 2007 però, quando è considerato l’ago della bilancia tra Nicolas Sarkozy e la socialista Ségolene Royale, riceve un invito da quest’ultima per discutere della possibilità che lui diventi il primo ministro. Ma, a sorpresa, come ricorda Bfmtv, non si presenta neanche all’appuntamento. I corteggiamenti a sinistra vanno meglio nel 2012 quando, al secondo turno, Bayrou decide di appoggiare pubblicamente François Hollande. E’ questo un gesto che, ancora oggi, gli fa guadagnare punti tra i socialisti. Del resto, qualche anno prima, aveva scritto il libro “Abuso di potere” contro Sarkozy e i rapporti tra i due sono descritti come dei peggiori. Anche se ora, di fronte a un mondo non più diviso in soli due blocchi, è più difficile stare dai lati opposti della barricata.
E’ nel 2017 che Bayrou ha l’intuizione migliore: decide di salire sul carro di Macron, l’enfant prodige che rompe a sinistra e vuole creare il grande centro. Il suo sogno. Decide di rinunciare alla candidatura presidenziale e supportare il futuro presidente della Repubblica. Mossa giusta, tanto che ottiene la poltrona di ministro della Giustizia. Peccato però, che i festeggiamenti durano pochi mesi. Neanche il tempo di insediarsi che, a giugno, è costretto alle dimissioni per un’inchiesta sull’impiego fittizio di assistenti parlamentari da parte del suo partito, i MoDem: il caso ha coinvolto circa 11 imputati, tra cui il leader, e le accuse riguardavano il presunto uso illecito di fondi europei per pagare gli assistenti che in realtà lavoravano per il partito e per l’Udf (Unione per la democrazia francese). E’ un colpo durissimo, che lo costringe a tornare nelle retrovie. Macron ci prova a ritirarlo fuori dall’oblio e, nel 2020, gli dà la nomina di “alto commissario per la pianificazione”. Ma la vera riabilitazione arriva a febbraio scorso quando viene assolto: i giudici sostengono che non ci sono elementi per affermare che “fosse a conoscenza del fatto”. La procura ha fatto appello: il processo potrebbe arrivare proprio mentre è in carica come primo ministro, segnando una prima volta nella storia.
Ed è proprio alla storia che si è appellato al momento del passaggio di consegne. Bayrou, parlando con i giornalisti, ha ricordato la figura di Enrico IV, nato proprio a Pau e al quale ha dedicato una biografia nel 1999. “Ha basato il suo incontro con la Francia sulla necessità di finirla con le guerre stupide e secondarie per concentrarsi sull’essenziale, che è il futuro del Paese”, ha detto. Il sovrano è una delle figure di riferimento per la coesistenza fra cattolici e protestanti: suo fu l’editto di Nantes, che nel 1598 mise fine alla sanguinosa guerre di religione in Francia. Bayrou avrà bisogno di quello spirito e molto altro per superare l’inverno. Una sfida (sua e di Macron) ormai contro la fisica: imporre sempre la stessa strategia, sperando che a cambiare, per sfinimento, siano gli altri.
14/12/2024
da Il Fatto Quotidiano