ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

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Fronte comune contro l’autonomia differenziata, per una abrogazione totale, non parziale

Fronte comune contro l’autonomia differenziata, per una abrogazione totale, non parziale

Al via la raccolta firme, ne servono oltre 550mila per il referendum abrogativo entro il 30 settembre. Invitiamo tutti e tutte coloro che si riconoscono nella Costituzione repubblicana del ’48 a mobilitarsi. Il tempo è pochissimo, la convinzione deve essere contagiosa

Qualche giorno fa il popolo francese ha dimostrato cosa sia la dignità della Repubblica; che un voto dato per fermare qualcosa è un voto profondamente politico; che si può lavorare insieme (associazioni, comitati, sindacati, partiti) per arginare un pericolo immediato, violento, funesto. In queste ore mi chiedo se anche noi italiani saremo in grado di fare altrettanto. Perché tirare una sberla all’Autonomia differenziata è mettere un’ipoteca per sconfiggere il premierato: e quindi, in poche parole, cominciare a smontare il “patto scellerato” alla base della compravendita tra i due contraenti principali di maggioranza, tutto sulla pelle di cittadine e cittadini. Per farlo bisogna però essere coraggiosi e leali; avere il coraggio di liberarsi di ogni ambiguità e di ogni calcolo; lavorare sguardo, cuore, pelle, cervello, gambe su un obiettivo che si individua come giusto e imprescindibile; abbandonare protagonismi, doppi tavoli, stanze segrete o riservate a pochi. Ce la faremo? Io spero tanto di sì, anche se non tutto sta andando come potrebbe.

È passato quasi un anno e mezzo da quando, il 29 gennaio 2023, l’assemblea nazionale congiunta di Comitati per il Ritiro di ogni autonomia differenziata, l’unità della Repubblica, l’uguaglianza dei diritti e il Tavolo Noad chiamavano tutte le forze sindacali, politiche ed associative a convergere in uno sforzo comune per contrastare quella che allora sembrava essere un’offensiva repentina, il ddl Calderoli, quale di fatto è stata. Oggi il testo del ministro degli Affari regionali è legge, nel dissenso generale, persino all’interno di alcune delle forze che lo hanno approvato, prima al Senato e poi alla Camera. L’8 luglio il segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, ha incontrato i presidenti delle Regioni governate dal suo partito; tema: autonomia differenziata. Le dichiarazioni del presidente della regione Veneto, Luca Zaia, che chiede di riscuotere immediatamente la cospicua dose di potere che la legge gli concede, hanno prodotto un certo allarme. In quella stessa data monsignor Savino, vicepresidente della Cei, ha dichiarato: «Con l’autonomia differenziata l’Italia sarà un Far West», rilanciando l’impegno della Chiesa contro la legge.

Da quel 29 gennaio abbiamo assistito a una lenta ma costante convergenza di forze: il più grande sindacato italiano – la Cgil – si è significativamente assunto la responsabilità di unire il dissenso contro l’Autonomia differenziata, dando vita alla Via Maestra, che si è fatta promotrice di un referendum abrogativo del progetto eversivo. Il 5 luglio un’ampissima delegazione, dalla Cgil alla Uil, dall’Anpi al Wwf, dai Comitati per il Ritiro di ogni Autonomia Differenziata al Coordinamento per la democrazia costituzionale a Libera, insieme a tanti altri e a tutti i partiti di opposizione parlamentare (tranne Azione) e non, hanno depositato un quesito abrogativo totale della legge 86.

A fronte dei grandi passi avanti che sono stati fatti da partiti politici, dal Pd (che oggi, non a caso, risulta essere il primo partito del Sud Italia) e dal M5s nella direzione che noi auspicavamo, quella del mutamento della propria interpretazione e linea politica sul tema autonomia differenziata, abbiamo nei giorni scorsi accolto con soddisfazione la notizia di un contemporaneo referendum totalmente abrogativo da parte di 5 regioni governate da queste forze politiche (Sardegna, Emilia Romagna, Toscana, Campania, Puglia). La sorpresa è stata, poi, apprendere che tali regioni affiancheranno al quesito abrogativo totale anche un quesito parziale, con l’idea – non certo convincente e sicuramente non coerente – che, essendo la ammissibilità del quesito abrogativo da parte della Corte costituzionale in forse, si individuerebbe – attraverso questa strategia – una possibile via d’uscita. Una sorpresa certamente non positiva: che fine hanno fatto l’intransigenza, i toni fermi, le parole inequivocabili, le dichiarazioni di inemendabilità del ddl Calderoli, che abbiamo ascoltato dai massimi esponenti dei partiti dell’opposizione parlamentare (compresi quelli di Avs, Italia Viva, Psi, che hanno eletti nei consigli regionali; o di Più Europa) negli ultimi mesi e persino il 5 luglio, all’entrata della Corte di Cassazione per sottoscrivere il quesito del referendum popolare? Sarà difficile – molto difficile – quando faremo i banchetti e poi – dopo aver raccolto almeno 550mila firme – durante la campagna di sensibilizzazione per andare a votare contro l’autonomia differenziata, spiegare agli elettori ed elettrici che si troveranno davanti a più quesiti; inoltre, con quale convinzione i partiti dell’opposizione parteciperanno alla raccolta, che dovrebbe vedere tutti i soggetti che fanno parte del comitato promotore pancia a terra, per sconfiggere il “generale estate” e totalizzare almeno il numero di firme necessario entro il 30 settembre? Il deposito entro quella data garantirebbe infatti di celebrare il referendum nella primavera del 2025, quando ancora la macchina innescata dalla legge Calderoli non avrà condotto alla ratifica delle intese tra singole regioni e Governo: alla sostanziale concretizzazione, cioè, dell’autonomia differenziata.

La nostra lotta di quasi 6 anni, finalizzata a contrastare qualunque autonomia differenziata, che porterà alla rottura dell’unità della Repubblica e all’aumento delle già straordinarie diseguaglianze che affliggono il Paese, non ammette vie di mezzo: il quesito non può che essere abrogativo totale. Un obiettivo che abbiamo sostenuto con costanza ed energia, in maniera inflessibile: quello di riunire il maggior numero di forze democratiche del Paese per dire No, senza alcun indugio o ambiguità, all’autonomia differenziata. Lo abbiamo fatto con la granitica convinzione della fondatezza delle nostre ragioni, che si basano sugli artt 2, 3, 5, 119 della Costituzione. Lo abbiamo fatto formando e (contro)informando, girando l’Italia in più di 250 assemblee territoriali, creando nessi, legami, dialogando convintamente, senza alcun calcolo strategico, se non quello di raggiungere quello che dovrebbe essere lo scopo di tutti/e: salvare, appunto, la forma e la dignità della Repubblica. L’unità di intenti e di comportamenti è ciò che serve al Paese, come deve necessariamente accadere nei passaggi fondamentali della storia, quelli che segnano un prima e un dopo, quale l’autonomia differenziata è.

Per questo invitiamo tutti e tutte coloro che si riconoscono nella Costituzione repubblicana del ’48 a contattare le Camere del Lavoro e/o i comitati locali che si occuperanno della raccolta delle firme. Il tempo è pochissimo, la convinzione deve essere contagiosa: contiamo sulla partecipazione convinta di tutte e tutti; nonostante l’estate, insieme, per salvare l’unità della Repubblica e l’uguaglianza dei diritti, contro ogni autonomia differenziata.

Si abbia – almeno ora – il coraggio di abbandonare la retorica della Costituzione e salviamola, questa Costituzione, dall’oltraggio peggiore che le sia mai stato intentato. È il momento di decidere senza tentennamenti e calcoli da che parte si sta. Le soluzioni di mediazione non potranno indorare la pillola di un passaggio da un prima a un dopo, dal quale non si potrà più tornare indietro: la legge Calderoli prevede infatti un tempo minimo di 10 anni per recedere dalle intese, e su iniziativa della regione interessata. È qui ed ora che dobbiamo dire senza infingimenti e tentennamenti in quale Paese intendiamo vivere: se in una Repubblica democratica fondata sul lavoro, che deve garantire l’uguaglianza formale e sostanziale, la solidarietà e promuovere le autonomie, mantenendo la propria unità ed indivisibilità. O se in un Paese balcanizzato, lasciato in mano a potentati locali che – oltre a scompaginare le fondamenta del patto repubblicano – faranno registrare al Paese un declassamento politico a livello internazionale, mettendo in serio pericolo il già traballante bilancio dello Stato, come autorevolissimi enti hanno certificato. Non vogliamo lasciare al centro destra la responsabilità di questo disastro annunciato?

Se vogliamo raggiungere le firme necessarie, ottenere il quorum e vincere il referendum, ai cittadini e alle cittadine va indicata una soluzione netta e chiara: abolire la legge Calderoli, senza e senza ma.

L’autrice: Marina Boscaino è portavoce nazionale Comitati NoAd

09/07/2024

da Left

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