Gaza. Il «negoziato» si impantana, non è un ritiro ma un ridispiegamento delle truppe israeliane
Circa 38 palestinesi sono stati uccisi ieri mentre cercavano di accedere al centro di distribuzione cibo gestito a Rafah dalla fondazione israelo-americana Ghf. I medici hanno confermato che centinaia di persone sono arrivate negli ospedali della zona a causa delle ferite riportate e che a decine, tra cui bambini, sono stati dichiarati morti. Un filmato mostra uno dei contractor americani sparare gas lacrimogeno direttamente sulla folla, a distanza estremamente ravvicinata.
È stata solo una delle stragi che ieri hanno causato la morte di almeno 98 palestinesi. Israele ha colpito di nuovo Deir al-Balah, dove solo due giorni fa un bombardamento ha tolto la vita a dieci bambini in fila per ricevere supplementi nutrizionali. Questa volta l’attacco ne ha ammazzati quattro, insieme a due donne. Ma il massacro peggiore è forse quello del campo profughi di al-Shati. È stato attaccato un camion che trasportava taniche di acqua da distribuire. Tra le persone accorse, ancora una volta, tanti bambini. I morti e i feriti sono stati caricati su un furgone, unico mezzo a disposizione per raggiungere gli ospedali. È stato preso d’assalto ma lo spazio non bastava per tutti. Un uomo lo ha seguito per diversi metri, aveva tra le braccia il corpo martoriato di un bambino di un paio d’anni e lo offriva disperato, perché lo portassero via con loro. A Gaza City gli aerei di Tel Aviv hanno colpito un edificio residenziale che ospitava i membri della famiglia Tafesh. Da giovedì a sabato mattina l’esercito ha colpito Gaza 250 volte, da nord a sud. I militari hanno risposto alle domande sul massacro del centro della Ghf dichiarando di non essere a conoscenza di nessun individuo ferito dal fuoco dei soldati.
Mentre il ministro della difesa Israel Katz ha pubblicato con orgoglio su X la foto di Beit Hanoun, nel nord della Striscia, completamente distrutta e livellata, Medici senza frontiere ha informato che i casi di malnutrizione sono quasi quadruplicati. Nella sede di Gaza gestita dalla Ong sono giunte 938 persone denutrite nei primi giorni di luglio (a maggio erano state 293). 326 sono bambini di età compresa tra i 6 e i 23 mesi. Fonti mediche hanno comunicato che almeno 67 bambini sono morti per mancanza di cibo, a causa del blocco israeliano di beni essenziali che va avanti da 133 giorni. 650mila bambini al di sotto dei cinque anni rischiano danni fisici irreparabili e addirittura la vita. Il blocco di carburante sta creando danni immensi, si è stati costretti a dare priorità agli impianti di desalinizzazione per garantire l’acqua potabile, anche se rimane quasi impossibile da distribuire, soprattutto in certe aree. Questo significa che le pompe fognarie sono spente e le acque reflue inondano le strade, diffondendo infezioni e malattie. Dal 4 luglio l’80% delle strutture Wash (servizi idrici, sanitari e igienici) rientrano nelle zone militarizzate da Israele o in quelle sotto ordine di evacuazione.
E intanto i negoziati di Doha sono già arrivati allo stallo. Secondo fonti di Al Jazeera, Tel Aviv ha presentato una mappa contenente le aree di Gaza che intende mantenere sotto occupazione. Non si tratterebbe di un ritiro quanto di un riposizionamento delle truppe, che renderebbe impossibile per i palestinesi sfollati rientrare, almeno in parte, nelle zone da cui sono stati cacciati. Il 90% circa dell’intera popolazione della Striscia è stata sgomberata. Dal cessate il fuoco del 18 marzo, secondo le Nazioni unite, Israele ha sfollato altre 725mila persone. L’ufficio Onu di coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha riferito che solo nella prima settimana di luglio sono state colpite almeno sette scuole che ospitavano sfollati. Alcune erano già state bombardate in precedenza. Gli attacchi hanno causato la morte di almeno 42 persone e l’ulteriore spostamento di intere famiglie che vivevano in edifici danneggiati perché già non avevano più un posto in cui rifugiarsi. Molti sono stati cacciati anche dieci volte.
È salito a due il numero delle vittime dell’attacco dei coloni alla città palestinese di Sinjil, vicino Ramallah, nella Cisgiordania occupata. Ieri Mohammed Shalabi è morto per le ferite riportate. È stato rincorso dagli israeliani che lo hanno brutalmente aggredito. Il suo corpo è stato ritrovato dopo ore. La famiglia dell’altra vittima, Seif al-Din Muslat, palestinese con cittadinanza statunitense, ha chiesto a Washington di indagare sull’accaduto. Il ventenne è stato ucciso a botte dai coloni, che hanno poi impedito alle ambulanze di giungere sul posto. Suo fratello minore è riuscito, alla fine, a raggiungere il mezzo di soccorso ma Seif è morto prima di arrivare in ospedale. Nato in Florida, si trovava a Sinjil per far visita ai suoi parenti. Nessun israeliano è stato fermato per gli omicidi.
13/07/2025
da Il Manifesto