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Gaza 40mila morti dopo. Usa a Israele: ‘hai preso tutto‘. Il Qatar frena l’Iran

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Gaza oltre i 40mila morti. Gli Stati Uniti questa volta sembrano decisi e chiari: Israele ha raggiunto, sostanzialmente, quasi tutti gli obiettivi militari che si prefiggeva. Hamas ridotto ai minimi termini e messo in condizioni di non poter più attaccare. Tutte le condizioni perché Netanyahu accetti immediatamente un accordo di cessate il fuoco, fa dire la Casa Bianca. ‘Ottimismo elettorale?’ si chiede Haaretz.

Doha, in Qatar, qualche speranza

Il portavoce della Casa Bianca Kirby sui negoziati di Doha, in Qatar, “hanno avuto un inizio promettente”. La realtà, scrivono invece a Tel Aviv, è che non ci sono grandi novità ed il timore è che la Casa Bianca ‘infiocchetti un pacco-regalo’ che ancora non esiste’. Perché ha bisogno di esibire qualche risultato in politica estera alla Convention democratica di Chicago, che dovrà formalizzare la nomination di Kamala Harris. Una gigantesca operazione diplomatica per fini di politica interna. Addirittura si parla di contatti segreti tra l’Amministrazione Biden e gli ayatollah, in cui l’accordo su Gaza servirebbe a stoppare la rappresaglia iraniana contro Israele.

A Doha comunque si continua

I colloqui di Doha continuano oggi e Kirby alimenta le speranze di un esito positivo, perché aggiunge che “la struttura dell’intesa è stata generalmente raggiunta e ora bisogna mettersi d’accordo solo sui dettagli”. Anche se fonti anonime riferiscono di nodi scottanti, che non si riesce a sciogliere: il ritorno di almeno un milione di rifugiati a Gaza Nord (bloccato da Israele), il controllo del ‘corridoio Netzarim’, che taglia in due la Striscia, e quello del ‘Filadelfia’. Quest’ultimo delimita il limite Sud di Gaza con l’Egitto, ed è fondamentale per il contrabbando di armi. Il portavoce Kirby non accusa nessuno, in modo diretto, per un eventuale fallimento dei negoziati. Ma aggiunge delle considerazioni che fanno capire tutto.

Kirby frena sul Libano

Oltre a quella citata, degli obiettivi militari già abbondantemente raggiunti da Israele, Kirby parla anche del Libano e dice che gli Usa “non hanno segnali sul fatto che Hezbollah voglia lanciarsi a capofitto in una nuova guerra”. Insomma, secondo Washington, la situazione sul fronte nord, quello libanese, è assolutamente gestibile. E, tradotto dal politichese, significa che non c’è bisogno di nessun conflitto preventivo, come invece si era temuto in questi ultimi giorni. Una voce che correva, nelle Cancellerie occidentali, alimentata da notizie ‘trasversali’ in arrivo da Tel Aviv, parlava di una vera e propria rissa nel governo israeliano. In effetti, sembra che un attacco preventivo contro Hezbollah sia stato chiesto, in tempi recenti, proprio da Netanyahu, ma abbia trovato la ferma opposizione del Ministro della Difesa, Yoav Gallant.

Monito a Netanyahu

Che la bacchettata di Kirby fosse diretta, come monito, all’irascibile premier israeliano, è testimoniato dalle sue stesse parole: “L’ultima cosa che voglio fare – ha detto il portavoce – è quella di intromettermi nella politica interna israeliana o nelle macchinazioni del governo”. Una ‘excusatio non petita’ che fa capire come Kirby abbia colto nel segno, perché dopo quella con Gallant, adesso è scoppiata una nuova feroce polemica, tra Bibi Netanyahu e un altro famoso e acclamato ‘supergenerale’, molto amico degli americani: Benny Gantz. L’ex Ministro della Difesa (politicamente oppositore di Netanyahu) faceva parte del Gabinetto di guerra, una coalizione d’emergenza che comprendeva al vertice anche Gadi Eisenkott. Un nucleo che si è disintegrato, quando la conduzione della guerra di Gaza (e la politica di controllo dei Territori occupati) ha provocato pareri contrastanti.

Benny Gantz: “Siate coraggiosi almeno una volta”

Oggi, dopo la ripresa dei colloqui di Doha, Gantz si è rivolto al governo Netanyahu con un incitamento: “Siate coraggiosi almeno una volta”. Nel senso che l’esecutivo, finora, non ne ha azzeccata una, continuando a essere sempre ambiguo sulle decisioni strategiche da prendere e preferendo la politica del giorno per giorno. Gantz accusa Netanyahu di non avere affrontato Hezbollah quando doveva farlo, cioè l’anno scorso. E inoltre gli addebita l’incapacità di non aver saputo elaborare un piano d’intervento efficace per liberare gli ostaggi. “Adesso – dice l’ex generale – è arrivata l’ora che vi preoccupiate nel futuro del Paese e non solo di quello del vostro governo”. Non sarà facile. L’impressione, molto netta, è che Netanyahu si sia spostato ancora più a destra e sia sempre più condizionato dai partiti messianico-nazionalistici. Ha fatto una scommessa su Trump e spera di vincerla.

Netanyahu se non vince Trump?

A Doha ha spedito a trattare David Barnea, il direttore del Mossad, e Ronen Bar (il capo dello Shin Bet), cioè le due agenzie di spionaggio che hanno liquidato il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, sul suolo iraniano. Proprio per questo, in Qatar i colloqui sono ripresi “col morto”, come si dice. Cioè, Hamas non ha mandato nessuno, mentre successore di Haniye è diventato Yahya Sinwar, un “duro e puro” decisamente più estremista e, soprattutto, grande amico degli ayatollah. Ammazzare il negoziatore più duttile, non è che abbia favorito i sacri principi democratici della pace nel mondo. A Washington qualcuno, al Consiglio per la Sicurezza nazionale, se li era fatti quattro conti quando ha dato il “via libera” all’ operazione? Oppure, nessuno sapeva niente. No, perché in questo caso la Casa Bianca sarebbe la succursale di una clinica neurodeliri, un posto dove si danno 20 miliardi di dollari di armi a uno che poi manco ti dice su chi butta le bombe. Insomma, siamo messi male.

Libano e l’equivoco mediatore

L’ultima notizia la riserviamo al Libano. L’inviato di Biden, Amos Hochstein (altro bel personaggio) è stato a Beirut a parlare di pace con gli atterriti governanti dell’ex Svizzera del Medio Oriente. Poi, però, si è seduto coi generali dell’esercito (armati fino ai denti dagli americani) e ha parlato di guerra. Probabilmente di come bisognerebbe (forse) prendere Hezbollah in una tenaglia. “Si vis pacem para bellum”, il nuovo motto che dovrebbe essere impresso sul portone d’ingresso della Casa Bianca. Col preparare la guerra molto più concreto della dichiarata volontà di pace.

16/08/2024

da Remocontro

Piero Orteca

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