Quella di Gaza ‘controllata dagli Usa’ è solo l’ennesima sparata di Trump. Irrealistica e pericolosa,ha già sollevato un vespaio di polemiche. Anche se fosse una proposta vera e non uno scherzo di cattivo gusto, sarebbe comunque una ‘partita di giro’. I palestinesi “deportati” (termine della politica latino americana trumpiana), e Gaza diventerebbe per qualche tempo un protettorato Usa. In attesa di passare definitivamente ai coloni israeliani
Le sparate di Trump subito pericolose
Nella conferenza stampa, tenuta assieme a Netanyahu, il Presidente americano è stato, al solito suo, nebuloso su tattiche e obiettivi. Secondo il Wall Street Journal, «non è stato affrontato il modo in cui gli Usa sarebbero riusciti a convincere i palestinesi ad abbandonare volontariamente Gaza e se e come Israele avrebbe esercitato la sua sovranità lì, obiettivo perseguito da alcuni membri di destra del governo di Netanyahu». «Trump – ha proseguito il Journal – ha affermato di non ‘vedere’ insediamenti ebraici accedere a Gaza (bugia plateale). Ma non è stato chiaro su chi avrebbe beneficiato della riqualificazione della Striscia».
L’inferno Gaza paradiso per chi?
La vaghezza della proposta (la Gaza dei sogni da ricostruire), l’assenza di qualsiasi considerazione esplicita sulla popolazione coinvolta, e il forte sospetto che, alla fine, gli unici beneficiari della rivoluzione gaziana sarebbero i coloni israeliani già pronti con vanghe e fucili a tracolla, ha alimentato feroci reazioni da parte di tutto il mondo arabo. Si è trattato, in diversi casi, di repliche stizzite da parte di diplomazie allibite per la palese illogicità (versione censurata dei termini reali) della mossa. I ‘boatos’ più fragorosi dall’Arabia Saudita, dal Paese che, per evidenti motivi geopolitici, gli Stati Uniti considerano il perno della loro strategia mediorientale. L’obiettivo di Trump è quello di chiudere definitivamente gli accordi diplomatici tra Tel Aviv e Riad, in prosecuzione delle intese raggiunte con il cosiddetto Patto di Abramo.
Contraddizioni di una politica nevrotica
Ma scelte come quelle di Gaza (o della Cisgiordania) che finiscono per emarginare il popolo palestinese, rendono impossibile il raggiungimento di un compromesso. E il motivo è semplice. Tutti i regimi sunniti più o meno moderati della regione hanno uno zoccolo largo e duro di popolazione che è pronto a rivoltarsi per sostenere la causa palestinese. Peggio, questa battaglia può velocemente collegarsi ad altre rivendicazioni di tipo sociale, saldandosi in un’unica grande ribellione. È quello che temono molti leader, dal Marocco all’Egitto, dalla Giordania alla Penisola arabica.
Iran, ‘convitato di pietra’ sciita
E poi c’è l’Iran, ‘convitato di pietra’. Potenza islamica non araba, di confessione sciita, che rimane agli occhi di centinaia di milioni di musulmani l’unico Stato a fronteggiare militarmente Israele e a difendere i palestinesi con le armi. Nell’immaginario collettivo islamico, specie alla base della piramide sociale, questa situazione può diventare una leva formidabile per scardinare regimi corrotti che flirtano con l’Occidente da decenni. Ecco perché tutti stanno attenti a come si muovono e tengono nella dovuta considerazione, la causa palestinese. Un buon sunnita non può permettersi di essere accusato di «connivenza col nemico», mentre il suo atavico competitor religioso sciita fa quello che lui non fa. Cioè schierarsi sempre e comunque al fianco dei fratelli palestinesi.
America preoccupata e sauditi arrabbiati
La conferma arriva ancora dal Wall Street Journal. «L’Arabia Saudita, che gli Stati Uniti sperano di guidare verso un accordo per normalizzare i legami con Israele ha dichiarato di aver respinto qualsiasi proposta di allontanare i palestinesi dalla loro terra e ha ribadito il suo sostegno a uno Stato palestinese. Ha definito la sua posizione non negoziabile e ha affermato che non avrebbe stabilito relazioni diplomatiche con Israele a meno che tale obiettivo non fosse stato raggiunto». Come si vede, si tratta di una chiara bocciatura della proposta Trump, che non è circoscritta solo ai sauditi. Con una specie di effetto domino, le parole del Presidente americano hanno avuto il potere di suscitare una cascata di reazioni negative in tutta la regione. In molti temono che l’approccio troppo rumoroso della Casa Bianca alla diplomazia mediorientale, possa scompaginare i fragilissimi equilibri che erano stati raggiunti.
L’Islam in casa Nato avverte e l’Iran guarda minaccioso
Un altro garante della causa palestinese, la Turchia, è sceso in campo col Ministro degli Esteri, Hakan Fidan, che ha definito l’idea di Trump assurda e ha affermato di opporsi a qualsiasi sfollamento, deportazione o, senza ipocrisie, -pulizia etnica palestinese da Gaza-. Anche i Rappresentanti di Qatar, Egitto, Giordania ed Emirati Arabi hanno espresso profonda contrarietà a un piano che lede i diritti di un intero popolo.
Ma come hanno reagito gli ayatollah? Secondo gli specialisti di Al Monitor, il think tank che si occupa di Medio Oriente e Golfo Persico, l’Iran, uno dei principali sostenitori di Hamas, non ha rilasciato una reazione ufficiale al piano degli Stati Uniti. Salvo anonime dichiarazioni a Reuters di totale opposizione di Tehran a qualsiasi esodo di abitanti da Gaza. Dallo Yemen gli Houthi, sostenuti dall’Iran, criticano ‘l’arroganza americana’. «Se l’Egitto o la Giordania o entrambi – riporta Al Monitor – decidessero di sfidare l’America, ‘lo Yemen starebbe al loro fianco con tutte le sue forze, fino in fondo e senza linee rosse’, ha scritto su X Mohammed al-Bukhaiti, dell’Ufficio politico degli Houthi».
07/02/2025
da Remocontro