Non era ancora guerra quanto vi raccontavamo di tre manifestazioni contrapposte a Gerusalemme. La Marcia delle bandiere dei fascisti di destra. Gli israeliani mainstream radunati attorno alla residenza del presidente, e infine la sinistra radicale più attiva.
Oggi, la società israeliana e la democrazia dopo decenni di governi autoritari e quattro mesi di guerra feroce. Famiglie, bambini, anziani, laici e ultraortodossi: in migliaia all’iniziativa organizzata da soldati e gruppi dell’estrema destra, racconta tra lo stupito e l’arrabbiato Chiara Cruciati inviata a Gerusalemme.
L’Israele che credevamo e quello che stiamo scoprendo
Cronaca della ‘marcia per la guerra’. «La Marcia della Vittoria non riesce a tagliare il traguardo dei 50mila partecipanti, ma è comunque un successo: sul selciato che conduce alla Knesset e alla Corte suprema ce ne sono 10-15mila. Decisamente di più di chi scende in piazza in solidarietà con le famiglie degli ostaggi israeliani a Gaza». La pancia di Israele che soffre, duole, o non offre certo il meglio di se stessa.
Il peggio della destra sovranista e militarista
Non scontato quel numero a sostegno di fatto del governo ultra desto di Netanyahu, per una iniziativa improvvisa Sai neonati ‘Reservists until Victory’: «riservisti, soldati di ritorno da Gaza, rabbini, attivisti di destra ed ex militari del gruppo Ad Kan, e poi Mothers of Soldiers, Lobby 1701, il Tikva Forum, uniti sotto lo slogan ‘Andare avanti fino alla vittoria’», Annota con precisione il Manifesto.
Cosa vuol dire ‘Vittoria’, e contro chi?
Per la soldatessa che apre gli interventi, ‘vittoria’ vuole dire la distruzione di Hamas, e «solo con l’esercito dentro Gaza si porta a casa il risultato». Un messaggio condiviso da un pezzo di società israeliana: nessun negoziato, la guerra vada avanti. A impressionare di più, rileva Chiara Cruciati, è la piazza. «Famiglie, genitori con i figli ancora sui passeggini, anziane coppie, ragazzini. Laici e ultraortodossi, soldati in uniforme e civili con il fucile. Signori di mezza età in cravatta e giovani universitarie con le sneakers. Cittadini normali».
La società israeliana travolta
L’angoscia che accompagna la quotidianità post-7 ottobre, lo choc che tanti israeliani tentano di assorbire e spesso di nascondere, qui si trasforma in euforia, il racconto di chi c’è. La piazza canta, balla al ritmo della musica pop sparata dal palco, tiene il tempo con le trombette e improvvisa picnic. Ma ecco la testimonianza chiave di un uomo aulto: «Siamo diventati mainstream. Le nostre idee sono diventate mainstream». In affetti i riferimenti sono gli stessi del nazionalismo religioso e il sionismo messianico, ma anche del Likud, il partito calderone della destra israeliana di governo.
I palestinesi come gli Amalek (i nemici simbolo nella Bibbia), vanno cancellati. «Si parla di finire la guerra, creare uno stato palestinese – diceva uno degli organizzatori – Se non occupiamo e controlliamo il territorio del nemico, manderemo un messaggio alla regione: Israele è debole».
Riempire le piazze per riempire i cannoni
La Marcia, partita il 4 febbraio dal kibbutz di Zikim e documentata su Facebook e X. Chiedono di riempire le piazze per riempire i cannoni: «La fine dei giorni è alle porte, quando apparirà il Messia tutti si inchineranno al Creatore», recita il rabbino. Più rude la parte violenta dei coloni. «Gaza va spazzata via. Gaza se la cava fin troppo bene». E giù video dell’enclave palestinese girati prima del 7 ottobre ma spacciati per attuali, con mercati pieni di gente allegra, ristorantini di shawarma e camion in viaggio tra strade senza né macerie né crateri. Forcaioli e bugiardi, ma è storia antica.
Obiettivi delle marcia, in casa e non soltanto
Obiettivi della marcia fotocopia delle affermazioni di Smotrich e Ben Gvir, l’ala destra nel governo di destra israeliano, per ricolonizzare Gaza.
- Punti chiave: territorio, nemico, assistenza. «Assicurarsi la vittoria sottraendo un territorio significativo alla Striscia di Gaza e annetterlo allo stato di Israele.
- Nemico: «la distruzione di Hamas e l’incoraggiamento dell’immigrazione della popolazione non coinvolta di Gaza»;
- Assistenza: «al nemico non va fornita assistenza logistica». Gli aiuti umanitari che gruppi aderenti alla Marcia – in prima fila le Mothers of Soldiers – stanno bloccando al porto di Ashdod e al valico di Kerem Shalom.
- In breve: ricolonizzazione della Striscia ed espulsione della popolazione palestinese, e fino ad allora carestia ed epidemia ad aiutare.
Ostaggi scomparsi
Degli ostaggi israeliani non sembra esserci l’ombra: anche questo concetto si fa sempre più ‘mainstream’, solo la metà degli israeliani – secondo gli ultimi sondaggi – ritiene una priorità la loro liberazione (intanto ieri sera le famiglie erano a Tel Aviv a chiedere di nuovo un accordo).
Gaza lontana e Rafah lontanissima
«Sopra il cielo di Gerusalemme non si sentono nemmeno i caccia, passano sopra la Cisgiordania. La città di Rafah è il punto più lontano di tutti. La notte prima della Marcia è stata pesantemente bombardata, soprattutto la zona ovest». Sempre ieri l’ong Norwegian Refugee Council forniva le dimensioni della strage che ne verrebbe. Sessantatré chilometri quadrati che ospitano già 1,4 milioni di civili, due terzi dell’intera popolazione di Gaza, dove non colpire civili è di fatto impossibile
Micro striscia e Nazioni Unite
La Striscia che si rimpicciolisce allarma le Nazioni unite. Ieri Volker Turk, alto commissario per i diritti umani, ha avvertito Israele che la creazione di una zona cuscinetto attraverso la distruzione a tappeto di migliaia di edifici civili diventa crimine di guerra (sarebbero 3mila, secondo fonti ministeriali palestinesi, gli edifici dati alle fiamme nelle ultime settimane dall’esercito israeliano, spesso documentati sulle piattaforme social dagli stessi soldati).
Risultati della paura incattivita
Tra palestinesi, dettaglio ignorato dai marciatori della guerra: 27.840 palestinesi uccisi, a cui si aggiungono migliaia di dispersi. Tra le vittime anche una ragazzina di 14 anni, uccisa da un cecchino israeliano fuori dall’ospedale Nasser di Khan Yunis. Sembra fosse uscita per cercare dell’acqua. E qui la cronaca aiuta: l’ospedale è da giorni assediato: 300 medici, 450 feriti e 10mila sfollati chiusi dentro, senza viveri; fuori c’è il fuoco dei cecchini, raccontano i giornalisti nelle vicinanze.
Che, da parte loro, piangono un altro collega: Nafez Abdel Jawad, della Palestine Tv, è stato ucciso in un raid aereo con il figlio, a Deir el-Balah. È il 123esimo reporter ammazzato dal 7 ottobre scorso, certifica Reporter senza Frontiere: «L’esercito israeliano ha decimato il giornalismo palestinese».
09/02/2024
da Remocontro