03/10/2025
da Il Manifesto
Trump-Netanyahu Sarebbe una proposta di pace se tenesse conto del ruolo politico dei palestinesi, ma è accaduto che il piano sia stato elaborato con Netanyahu per settimane da Trump e dai suoi inviati escludendo proprio i palestinesi
Rabbiosa e in difficoltà per la Flotilla di fronte all’opinione pubblica interna che scende in piazza a tutte le ore in solidarietà, e dei sindacati che scioperano bloccando i porti, Giorgia Meloni è passata alle spicce contro l’iniziativa non-violenta, per la quale «forse la sofferenza dei palestinesi non era l’obiettivo» e che «ora che c’è un piano di pace per Gaza» avrebbe rischiato di comprometterlo in modo «irresponsabile» – ma Mattarella invece ne ha riconosciuto il valore – per essersi «inoltrata in un scenario di guerra».
Scenario che non c’è, visto che lì non c’è una guerra simmetrica, non si vedono cannoni, carri armati, cacciabombardieri palestinesi fronteggiare l’esercito israeliano tra i più potenti e da noi riarmati della terra. A Gaza c’è solo un tiro a segno sui civili, una coazione a ripetere stragi e devastazioni quotidiane di strutture civili giudicate dalla Corte penale internazionale e dall’inchiesta dell’Onu come genocidio, parola che ormai «così fan tutti» dopo un colpevole silenzio, perfino con leggerezza come se questo non comportasse una presa di consapevolezza sul futuro del criminale Netanyahu salvato invece dal «piano» di Trump.
SAREBBE DUNQUE la Flotilla che svela tra l’altro l’illegalità del blocco navale delle acque palestinesi a Gaza, a compromettere la pace di Trump, Blair e Netanyahu, con il consenso di petromonarchie assassine come il saudita Bin Salman, più Egitto e Giordania in mano all’Amministrazione Usa? Ma se fosse avviata davvero la pace perché Netanyahu non ha accolto a braccia aperte i pacifisti disarmati della Flotilla invece di assaltarne le imbarcazioni con le armi spianate ed arrestarne centinaia? Perché Meloni, Crosetto e Tajani non la sostengono, invece di giustificare l’aggressione in acque internazionali dell’Idf, come fosse un evento naturale e non una sopraffazione?
Ma c’è davvero una proposta di pace in campo e non piuttosto un ultimatum, per la quale siamo arrivati addirittura alla richiesta di una mozione unitaria nel parlamento italiano? E da chi, con quale credibilità, viene proposto il piano «da premio Nobel»? Arriva da un ondivago palazzinaro dalla configurazione di gangster internazionale, che guida un paese al default, isolazionista della «guerra altrove ma eterodiretta da casa mia» convocando generali all’uopo sbarbati, che reprime i «nemici interni» inviando nelle città degli Stati uniti sull’orlo più che concreto di una guerra civile, forze militari contro proteste e migranti da cacciare; che coinvolge Tony Blair, reduce dai disastri provocati in Medio Oriente come in Iraq e sponsor di trame finanziarie e della British Petroleum con un occhio al gas di Gaza.
SAREBBE UNA PROPOSTA di pace se tenesse conto del ruolo politico dei palestinesi, ma è accaduto che il piano sia stato elaborato con Netanyahu per settimane da Trump e dai suoi inviati escludendo proprio i palestinesi: alla tribuna dell’Onu – ora ripescata, ed è un bene, ma solo per gli aiuti e comunque ai margini – ha parlato proprio Netanyahu anche se rincorso da un mandato di arresto della Corte penale internazionale, mentre ad Abu Mazen la Casa bianca ha vietato l’ingresso negli Usa. C’è dunque nel piano una prospettiva per lo Stato di Palestina e una soluzione della questione palestinese, vale a dire per 7 milioni di esseri umani, più gli altri della diaspora mediorientale? Non c’è: l’Idf resterà nella maggior parte della Striscia come ribadito da Netanyahu «anche dopo il rilascio degli ostaggi» e niente Stato palestinese, Gerusalemme est resta capitale di Israele come già deciso da Trump – e confermato da Biden – e della chiacchiera «la Cisgiordania non sarà annessa» non c’è più traccia, vuol dire che resta l’occupazione militare israeliana e il protagonismo messianico e razzista dei coloni. L’annessione vera la fanno l’affarista Trump con la sua famiglia.
Trasformando la Striscia in un nuovo board «apolitico»: un protettorato coloniale. Ma si dirà che l’Anp da tempo fuori gioco, residua e al limite d’esistenza – e anch’essa divisa -, vede nel piano una proposta a cui attaccarsi almeno per fermare il massacro in corso, fare entrare gli aiuti, soccorrere la popolazione gazawi ed esautorare Hamas per un redde rationem sulle sue gravi responsabilità.
Crescono variegate adesioni a questa interpretazione, fa riflettere quella speculare di Putin, poi di Guterres e del Brasile. E anche a sinistra. Del resto chi siamo noi con la nostra critica di verità per contraddire l’arrivo dei soccorsi, perché finalmente uomini e donne possano sfamare i loro figli, i bambini feriti possano essere almeno curati e amputati con gli anestetici, perché arrivi l’acqua e tanto cibo? La Flotilla, disarmata e senza condizioni a questo pensava e pensa.
MA LA PENSANO davvero così Trump e Netanyahu che il genocidio in corso – «sproporzionato» dice Meloni tacendo sulla sua proporzione per una massacro – dopo l’eccidio del 7 ottobre hanno gestito e permesso? Qualcuno ricorda la sospensione scellerata di aiuti all’Unrwa-Onu mentre era bombardata dall’Idf decisa dalla Casa bianca, alla quale si è associato anche il governo Meloni? Che, senza avere mai proposto con l’Ue sanzioni a Israele e senza riconoscere lo Stato di Palestina, adesso corre ai ripari a soccorrere ad usum di tv e sondaggi decine di fortunati palestinesi – meno male, ma lì sono milioni – e li porta in Italia pronto a chiedere la spartizione di utili, forze di sicurezza e stability, “concessioni” coloniali per l’affare lucroso della ricostruzione.
Lo ripetiamo: Netanyahu, Trump, buona parte dell’Europa e molti Paesi arabi e islamici vogliono i palestinesi non come soggetti aventi diritti, alla vita e alla terra, alla dignità e alle sue istituzioni, ma come ombre elemosinanti, affamati in lamento, feriti e mutilati, i nuovi paria ridotti ad una condizione di subalternità così profonda che l’indigenza e la fame cancellino le aspirazioni politiche. Che alla Autorità si sostituisca, come richiesto, la Subalternità «deradicalizzata» delle leadership palestinesi costrette – dopo essere state abbandonate dal mondo perché i territori occupati palestinesi non sarebbero una violazione del diritto internazionale come quelli in Ucraina – ad accettare tutto e in silenzio. Senza più diritto alla loro storia, nemmeno a narrare quest’ultima e più feroce Nakba nei libri di testo ora da controllare e censurare. C’è da dubitare infine che l’umiliato in carcere Marwan Barghuti, speranza dei palestinesi, venga finalmente liberato; se dovesse davvero accadere il timore è che sarà subito esiliato, senza potere essere acclamato in patria come Mandela.
SE TUTTO QUESTO accadrà, è bene sapere che, anche se tra le macerie e i sudari delle vittime, la questione della liberazione dei palestinesi non solo non è finita ma comincia adesso. Sta scritta negli occhi di centinaia di migliaia di bambini e di giovani donne e uomini testimoni del massacro che abbiamo permesso complici. Noi, certo, non siamo più palestinesi dei palestinesi, ma nel privilegio comunque della nostra condizione e della apparente distanza politica che la Flotilla ha provato a ridurre, possiamo e dobbiamo dirlo e ad alta voce.