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A Gaza impossibile identificare i corpi, migliaia di palestinesi seppelliti nelle fosse comuni

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Palestina. Primo neonato morto di denutrizione dopo il blocco degli aiuti, due mesi fa: pesava un chilo e mezzo. A Nur al-Sham, in Cisgiordania, gli abitanti assistono da lontano alla distruzione delle loro case.

Un ragazzino steso sull’asfalto che respira a malapena, gonfia il torace a spasmi, mentre un uomo prova ad accarezzargli la testa per dargli coraggio o più probabilmente per accompagnarlo alla morte. Vicino, la carcassa di un’auto appena bombardata, il conducente dilaniato, passeggeri diventati brandelli di corpi. La macchina colpita da un missile israeliano si trovava nei pressi del campo profughi di Nuseirat. Il bilancio è di almeno otto morti e diversi feriti, anche tra i passanti.

Ieri è stata un’altra giornata di sangue a Gaza, una delle peggiori delle ultime settimane. 51 uccisi dall’alba al tramonto, ma contare i morti diventa sempre più complicato. Gli obitori della Striscia hanno ricevuto migliaia di corpi non identificati e senza i kit necessari per gli esami del dna, gli addetti non hanno altra scelta che seppellirli in fosse comuni, senza un nome né un indizio di riconoscibilità. Eppure, ci sono tantissime famiglie che cercano ancora i propri cari, sotto le macerie scavando a mani nude o tra i sopravvissuti sperando di trovarli ancora vivi.

MOLTI PALESTINESI non avranno mai certezze sulla sorte dei propri figli, genitori, fratelli e sorelle. Ci sono persone che cercano da più di un anno, fa sapere l’Euro-Mediterranean human rights Monitor, tra ospedali, fosse comuni, obitori e macerie.

E si continua a morire anche per fame. L’agenzia palestinese Wafa ha riferito che Yousef al-Najjar è morto ieri a causa della malnutrizione. Aveva quattro mesi e pesava un chilo e mezzo. «La mia preoccupazione – ha detto ad Al-Jazeera Amjad Shawa, direttore della rete di organizzazioni non governative palestinesi (Pngo) – è che tra pochi giorni avremo centinaia o migliaia di bambini che perderanno la vita a causa della malnutrizione e della sete».

Un sacchetto di farina da 25 chili costa 350 dollari, le cucine comunitarie sopravvissute al blocco di beni che Israele mantiene da 65 giorni stanno per terminare le scorte. La maggior parte della popolazione sopravvive grazie all’assistenza delle mense o mangiando qualsiasi cosa trovi per strada, tra le 600mila tonnellate di rifiuti che soffocano la Striscia.

E in mezzo a questo inferno, i militari israeliani giocano a far esplodere le case per festeggiare il sesso dei propri figli. Lo testimonia un filmato girato il 3 maggio dai militari che, tra risate e urla di giubilo, riprendono il fumo blu del gender reveal che si alza dopo la detonazione.

Nelle ultime ore Israele ha effettuato numerosi arresti in tutta la Cisgiordania occupata. A Nur Shams i palestinesi cacciati via dal campo guardano dalle colline circostanti la demolizione delle proprie abitazioni a opera dell’esercito. I militari hanno annunciato la scorsa settimana che sessanta case sarebbero state abbattute. Coloro che sono entrati nel campo nel disperato tentativo di portar via beni e ricordi, sono stati fermati dai soldati, cacciati, rincorsi e arrestati.

INTANTO RIMANE al largo di Malta la nave della Freedom Flotilla bombardata in acque internazionali da due droni lo scorso venerdì. L’imbarcazione, carica di aiuti umanitari diretti a Gaza, è stata gravemente danneggiata nell’attacco ma le autorità maltesi ne vietano l’ingresso nel porto. I volontari denunciano che la Guardia costiera non permette agli scafi di supporto di avvicinarsi alla nave, neanche per consegnare cibo fresco alle persone che vi si trovano a bordo.

Ma altre navi dell’organizzazione internazionale sarebbero pronte a sostituirla, tra cui la gemella della Conscience, ferma al porto di Santa Maria di Leuca per un guasto sospetto, a quanto riporta la stampa locale. Il comandante Shukri Hroub, referente dell’Unione democratica arabo-palestinese, ha dichiarato a Telerama News che il gruppo è pronto a ripartire.

06/05/2025

da Il manifesto

Eliana Riva 

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