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Gaza, intera famiglia sterminata da un carro armato

Gaza, intera famiglia sterminata da un carro armato

Politica estera

19/10/2025

da Il Manifesto

Eliana Riva Storica, esperta di Paesi Islamici, documentarista

Terra rimossa. A Gaza la tregua uccide

«Hammoud è intero, ma nel sacco c’è solo la metà di Nasser». Così un parente delle vittime di Gaza si è rivolto ai membri della protezione civile, che hanno recuperato nove degli undici corpi della famiglia Abu Shaaban. Erano saliti su un piccolo furgoncino per provare a raggiungere casa loro, nel quartiere Zeitoun, a Gaza City.

L’ESERCITO ISRAELIANO si è ritirato dietro la cosiddetta «linea verde», di cui i palestinesi non conoscono l’esatta posizione. I carri armati sono schierati e pronti a sparare, così come i cecchini. Anche per l’esercito è difficile stabilire dove inizia la linea e come si estende sul terreno.

Venerdì sera il veicolo civile procedeva lentamente tra le dune e le macerie della Striscia. Centinaia di migliaia di palestinesi stanno tornando alle proprie case da quando il cessate il fuoco è iniziato. Un carro armato dell’esercito ha preso di mira la vettura e ha aperto il fuoco. Il mezzo è stato completamente distrutto e i resti dei passeggeri sparsi per la strada. Sono morti sette minori tra cui quattro bambini di cinque, sei, otto e dieci anni, tre donne e un uomo. La protezione civile è riuscita a recuperare solo nove delle vittime.

È L’ATTACCO PEGGIORE dall’inizio del cessate il fuoco: in otto giorni Israele ha ammazzato 28 palestinesi, tutti accusati di essersi avvicinati o aver attraversato la “linea gialla”. L’esercito israeliano continua, nonostante i patti, a colpire con droni e carri armati e a utilizzare la fame come arma di guerra. Ieri il premier Benyamin Netanyahu ha dichiarato che il valico di Rafah non aprirà. Rimarrà chiuso per le persone e per i camion degli aiuti umanitari fino a quando Hamas non troverà e consegnerà tutti i corpi degli ostaggi rimasti nella Striscia. Tel Aviv sta ritardando da giorni l’apertura di Rafah, fondamentale per garantire quell’inondazione di cibo, medicine, carburante e beni essenziali auspicata dalle Nazioni unite.

Neanche l’intervento del presidente Usa, Donald Trump, è riuscito a obbligare Tel Aviv a rispettare i termini. Washington ha la certezza che Hamas stia facendo tutto il possibile per trovare i corpi. La Casa bianca ritiene che il gruppo palestinese non avrebbe alcun vantaggio nel trattenerli, soprattutto dopo aver liberato tutti gli ostaggi vivi. I vertici dell’esercito avevano avvisato che allargare le operazioni militari avrebbe potuto rendere impossibile il ritrovamento dei prigionieri israeliani. Ma il governo ha risposto che gli ostaggi non erano la priorità. Oggi Netanyahu e i suoi ministri fingono di non sapere quanto complicato sia il processo di recupero.

NELLA NOTTE tra venerdì e sabato Hamas ha trovato e consegnato i resti del decimo israeliano. Ne rimangono ancora 18 ma mentre scriviamo il gruppo palestinese ha annunciato che consegnerà presto altri due corpi. Israele ha restituito altri 15 cadaveri di prigionieri palestinesi. Trump e diversi leader si sono detti disposti ad aiutare Hamas nelle operazioni di recupero e 81 esperti turchi sono arrivati in Egitto, sperando di entrare a Gaza proprio attraverso il valico di Rafah. Tel Aviv non facilita l’accesso di mezzi adeguati né di personale ma utilizza la situazione per accontentare gli alleati e i coloni che si oppongono a qualsiasi tipo di aiuto per la popolazione.

La situazione umanitaria rimane tragica, così come le condizioni di vita, soprattutto quelle delle fasce più fragili. La Società di soccorso medico di Gaza ha dichiarato che 170mila feriti necessitano di cure che non possono essere praticate nella Striscia.

«SONO SOPRAFFATTA e dubito di questo cessate il fuoco», ci ha detto Areej Almashharawi, una giovane insegnante di lingue. Prima degli attacchi aveva decine di studenti. Insegnava inglese a Gaza e arabo online. Quando internet era disponibile ha continuato le sue lezioni, anche sotto le bombe. Ma poi è arrivato l’esercito e ha dovuto lasciare Gaza City. «Voglio credere che il cessate il fuoco sia vero ma ci siamo già passati, non una volta, non due, da sempre». Dopo aver vissuto in tenda a Deir el-Balah, è riuscita a tornare a casa ma non pensa che durerà: «Per ora, voglio iniziare il processo di guarigione e ho bisogno di credere che questo accordo reggerà per un po’. Che sia una pausa». La nonna di Areej è stata sfollata da Israele nel 1948. Viveva a Muharraqa, un villaggio palestinese che sorgeva vicino all’attuale confine di Gaza. Tel Aviv non le ha mai permesso di far ritorno a casa.

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