Per Gaza ‘cessate il fuoco’ sempre lontano, e l’Onu, bloccata dalla minaccia di veto Usa, denuncia che la crisi alimentare sta peggiorando ma non riesce a fermare le armi di Israele e le prepotenze politico diplomatiche di Washington.
All’Onu la richiesta dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ONU, di indagare su «possibili crimini di guerra israeliani».
Esistono regole su chi ammazzare il guerra?
Quali sono le regole d’ingaggio dell’esercito israeliano? Domanda fondamentale per capire la deriva di episodi che coinvolgono i civili, in alcune circostanze uccisi a sangue freddo, come documentato da diversi filmati. I casi più noti hanno coinvolto, paradossalmente, gli stessi cittadini israeliani, rimasti vittime del grilletto facile dei soldati di Netanyahu. L’episodio più noto è quello dei tre ostaggi -beffa crudele-, uccisi dopo essere riusciti a sfuggire ai loro carcerieri di Hamas. Colpiti nonostante si muovessero con le mani alzate con una bandiera bianca. Poi l’avvocato Kestelmann, l’eroe solitario che, a Tel Aviv, bloccò da solo alcuni terroristi palestinesi che avevano sparato a dei civili. Il coraggioso israeliano, dopo aver salvato i suoi concittadini, ai soldati che arrivavano gridò ‘sono ebreo’, s’inginocchiò e buttò lontano la sua pistola, alzando le mani. Dopo averlo guardato, gli spararono a bruciapelo nello stomaco. Scioccando l’intera nazione.
Crimini di guerra
Esistono casi, a centinaia, da Gaza alla Cisgiordania, in cui l’esercito israeliano non sembra proprio lo specchio ‘difensivo’ di una moderna democrazia occidentale. Per alcuni versi, la sua brutalità, anche se non paragonabile a quella terroristica di Hamas, assume dei connotati intollerabili. Per come si comporta, Israele può definirsi una vera ‘democrazia compiuta’? Altro che dibattere di ‘antisemitismo’, che in questo caso sembra essere solo un ‘falso scopo’, uno schermo. Le domande più importanti le deve fare l’Occidente e le risposte sono obbligate a darle le istituzioni dello Stato ebraico. Che, evidentemente, sul terreno del rispetto dei diritti civili hanno ancora molta strada da fare.
Rapporto con l’informazione
Prendiamo il tribolato rapporto con la stampa. Proprio ieri il britannico Guardian, ha pubblicato un lungo report sui pericoli che corrono i giornalisti nel fare il loro lavoro, nelle aree dove operano le forze armate israeliane. In pratica, rischiano la vita tutti i giorni, perché i soldati di Netanyahu non amano né essere ripresi e manco essere ‘raccontati’. L’articolo parla di «militari israeliani accusati di avere preso di mira i giornalisti e le loro famiglie a Gaza». Nel senso che li hanno bombardati per ucciderli. Parole pesanti, desunte comunque dal rapporto del Comitato internazionale per la Protezione dei Giornalisti (CPJ), un organismo con sede a New York.
Cimitero stampa
Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, mettendo assieme i dati di Gaza, Cisgiordania e Libano del sud, secondo il CPJ sono morti ben 68 tra cronisti e operatori tv. Questa rabbrividente contabilità e così suddivisa: 61 palestinesi, 3 libanesi e 4 israeliani uccisi da Hamas durante lo ‘Shabbat nero’.
Committee to Protect Journalists
«Il CPJ ha affermato che c’è una serie di giornalisti a Gaza – scrive il Guardian – che riferiscono di avere ricevuto minacce e, successivamente, di avere visto uccidere i loro familiari. Si dice che il padre novantenne del giornalista di Al-Jazeera, Anas al-Sharif, sia stato ammazzato dopo un attacco aereo israeliano sulla sua casa e dopo molteplici minacce rivolte a suo figlio». Al quotidiano britannico il giornalista racconta di «telefonate di minaccia da parte di ufficiali dell’esercito israeliano, che gli dicevano di cessare la copertura degli avvenimenti e di lasciare il nord di Gaza». Secondo al-Sharif, gli aerei di Netanyahu hanno bombardato dopo averlo localizzato grazie ai messaggi WhatsApp che gli erano stati mandati.
‘Omicidi mirati’ e decisi da chi?
Ma uno dei punti più oscuri toccati dall’articolo del Guardian riguardante il diretto coinvolgimento del governo, in casi che appaiono come ‘omicidi mirati’. Chi prende la decisione di ‘uccidere chi’? In questo senso, fa riflettere un tweet riproposto dal Ministero degli Esteri di Tel Aviv, secondo il quale «AP, CNN, New York Times e Reuters avevano giornalisti coinvolti con i terroristi di Hamas nel massacro del 7 ottobre». Peggio, un altro tweet, dell’ex ambasciatore alle Nazioni Unite ora in Parlamento, Danny Damon, che ha platealmente chiesto «la loro eliminazione». Jodie Ginsberg, presidente del CPJ, ha invitato Israele a rivedere le sue ‘regole d’ingaggio militari’ sui giornalisti. Anche perché, già nel maggio scorso, CPJ «documentava uno schema di uccisioni di giornalisti da parte di Israele». Ben prima che scoppiasse la guerra di Gaza.
Far West del spara spara
Adesso, sicuramente, la situazione si sarà aggravata, perché con l’ingresso operativo di 360 mila riservisti, il rispetto delle regole d’ingaggio diventa molto più complicato. E gli Stati Uniti che dicono? Tutto ok.
Il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, ha dichiarato «di non avere visto alcuna prova, che Israele stia intenzionalmente prendendo di mira i giornalisti». E, probabilmente, non ha nemmeno alcuna prova che, a Gaza, i bambini stanno morendo come le mosche. God bless America.
22/12/2023
da Remocontro