17/10/2025
da Il Manifesto
Terra rimossa. Con l’«accordo di pace» inizia nella Striscia la compravendita di ruderi. Migliaia di famiglie cercano un riparo per lasciare le tende
Ad agosto Hamed Abu Shaaban, rimasto senza soldi come tanti prima di lui, aveva messo un annuncio sui social per la vendita del suo appartamento a Deir al Balah, l’area centrale di Gaza meno colpita dall’offensiva militare israeliana. Abu Shaaban non l’ha mai ritirato, pur non avendo alcuna certezza che la casa sarebbe scampata ai bombardamenti. Ha vinto la sua scommessa quando è stato annunciato il cessate il fuoco a Gaza.
CIÒ CHE COLPISCE nelle foto che accompagnano l’annuncio, racconta la giornalista Mervat Awl, è che l’alloggio, al secondo piano di una palazzina, è stato danneggiato: alcune pareti sono crollate. Eppure, aggiunge la reporter, «Abu Shaaban riceve circa dieci chiamate al giorno dall’inizio della tregua e potrebbe vendere il suo appartamento anche domani». A un prezzo che è quasi raddoppiato: dai 17 mila dollari di agosto ai 30 mila di oggi. A trattenerlo è la modalità di pagamento proposta dai potenziali acquirenti, che offrono rate mensili. Lui vuole tutto e subito, per non correre rischi.
Con l’inverno che si avvicina e la prospettiva di dover rimanere nei campi di tende, esposti al gelo e alla pioggia, chi non ha più una casa – la maggior parte delle famiglie sfollate di Gaza – è alla disperata ricerca di qualcosa che assomigli a un’abitazione. Anche solo una stanza con un tetto intero o da riparare, preferibilmente in affitto, perché pochi posseggono le somme necessarie per comprare una casa. I civili palestinesi ricordano ancora lo scorso inverno, quando si tremava per il freddo che attraversava le tende di stoffa.
«Le richieste sono migliaia» ci dice l’operatore umanitario Sami Abu Omar, di Bani Suheila, a est di Khan Yunis, aggiungendo che sono apparsi dal nulla «agenti immobiliari pronti a soddisfare il bisogno di un riparo dopo la distruzione da parte di Israele dell’80-90% delle case di Gaza City e di Khan Yunis e della completa devastazione di altre città come Rafah, Beit Hanoun, Jabalia». Lo confermano le immagini satellitari.
LA SITUAZIONE è particolarmente grave nel governatorato di Khan Yunis. Il portavoce del comune, Saeb al Laqan, ha confermato ieri che Israele ha distrutto almeno l’85% del governatorato (110 chilometri quadrati). «Non solo le case» ha precisato, «anche la maggior parte dei terreni agricoli è distrutta o occupata».
Dopo la proclamazione della tregua, l’affitto di un appartamento di due stanze, più o meno integro, a Deir al Balah è salito a mille dollari al mese. A Rimal, la zona residenziale sul lungomare di Gaza City, solo sfiorata dalle bombe, i proprietari di decine di appartamenti chiedono fino a 3 mila dollari.
CIFRE che ben pochi palestinesi possono permettersi e, come avveniva prima del 7 ottobre 2023, gli appartamenti migliori sono destinati agli uffici e al personale delle organizzazioni internazionali e delle agenzie dell’Onu. Le rare famiglie benestanti di Gaza, che già vivevano di rendita affittando appartamenti agli stranieri, continueranno ad accumulare fortune mentre gran parte della popolazione è nelle tende. «La soluzione migliore è comprare un appartamento, anche danneggiato e da riparare, per sottrarsi agli affitti esorbitanti in attesa della ricostruzione, che però richiederà anni», spiega Aziz, un giovane giornalista. «Ma tante famiglie non hanno soldi, o ne hanno pochi, e comunque esitano a investire tutto ciò che possiedono in un appartamento, perché il futuro è molto incerto».
REEM YOUNIS è un’agente immobiliare online. Dice che «le persone mettono in vendita o in affitto tutto sui social o attraverso di noi, anche i ruderi. E altrettante persone sono pronte ad occuparli perché l’alternativa è restare in una tenda o in una scuola dell’Onu con centinaia di famiglie». Un suo collega, Ibrahim Abu Rami, spiega che la prima ragione di chi decide di vendere il proprio appartamento «è garantirsi la sopravvivenza e in qualche caso per avere i soldi per andare via da Gaza quando e se sarà possibile», mentre chi ne compra uno o lo prende in affitto lo fa «per sfuggire alla vita a lungo termine negli accampamenti» malgrado l’ottimismo di Donald Trump. «Un tetto di cemento è preferibile a una tenda» aggiunge.
La linea gialla si estende per 6,5 chilometri all’interno della Striscia, all’altezza di Khan Yunis. Grazie ad essa Israele occupa il 53% del territorio e il suo ritiro da un ulteriore 40% è rinviato fino alla formazione di una forza di sicurezza internazionale per Gaza sotto guida arabo-americana. La cosiddetta «cintura di sicurezza» (la linea rossa), che copre il 15% della Striscia, non sarà smantellata fino al disarmo di Hamas, come insiste Benyamin Netanyahu.
L’AREA in cui si trovava la casa di Sami Abu Omar è oggi sotto diretto controllo militare israeliano ed è classificata come «zona gialla», quindi non può entrarvi. Vive con la famiglia nella presunta «area sicura» di Mawasi, a ovest di Khan Yunis, dove le tende si stendono come un mare di stoffa bianca. «La nostra casa è a soli cinque chilometri di distanza, eppure è lontanissima» ci dice. «Sogniamo di tornare, di piantare qualcosa accanto alle macerie o di rimettere in piedi almeno una parte della nostra abitazione. Ora possiamo sperare solo in una tenda nuova».