27/08/2025
da il Manifesto
LE PAROLE DI METSOLA Nuovo appello di 209 ex diplomatici europei: serve l’embargo. Ma restano inascoltati
Duecentonove ex ambasciatori e alti funzionari diplomatici europei chiedono azioni urgenti per fermare il massacro a Gaza e la violenza in Cisgiordania, dopo l’azione militare israeliana che ha coinvolto civili, operatori sanitari e giornalisti. L’appello fa seguito a un’analoga iniziativa sottoscritta appena un mese fa. Che però non ha sortito alcun effetto, si nota nel testo della lettera: non si è vista né tregua né rilascio degli ostaggi. Anzi, la situazione è peggiorata con «il governo israeliano che ha cominciato a svuotare Gaza City» in preparazione di «possibili deportazioni su larga scala» della popolazione della Striscia. Di fronte al blocco degli aiuti umanitari e all’uccisione di oltre 250 giornalisti, Bruxelles si limita alla condanna.
Ieri il portavoce esteri dell’esecutivo europeo, Anouar El Anouni, ha definito «del tutto inaccettabile» il raid dell’esercito israeliano sull’ospedale Nasser, che ha ucciso venti civili tra cui cinque giornalisti. Di «situazione intollerabile» a Gaza ha parlato la presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola durante il suo intervento al Meeting di Rimini, in cui ha chiesto di «smettere di essere indifferenti» all’orrore. Eppure, tanta indignazione non ha portato finora a nessuna azione concreta da parte di Bruxelles.
«Se l’Ue non agirà collettivamente – scrivono i promotori dell’appello – toccherà ai singoli stati europei, individualmente o in piccoli gruppi, adottare iniziative» allo scopo di «sostenere i diritti umani e il diritto internazionale». Tra le misure suggerite, la sospensione dell’export di armi, il bando al commercio di beni e servizi con gli insediamenti in Cisgiordania e il divieto per i datacenter europei di ricevere, immagazzinare e processare dati provenienti dal governo israeliano e da aziende attive nei Territori occupati.
«C’È ASSOLUTO sgomento ora all’interno delle istituzioni. Le persone si rendono conto che quando è troppo, è troppo», confida al Guardian Sven Kühn von Burgsdorff. Ex ambasciatore Ue in Palestina, è uno dei coordinatori dell’iniziativa. La paralisi dei 27 stati europei «tradisce i nostri valori», continua, insistendo sulla necessità di bypassare Bruxelles, bloccata dai veti contrapposti. Così «i governi europei perdono credibilità, non solo agli occhi del sud globale», ma anche «nei confronti delle opinioni pubbliche nazionali».
Von Burdgsdorff cita un sondaggio che mostra come perfino in Germania – dove il rapporto con Israele è delicato per evidenti ragioni storiche – la grande maggioranza dei cittadini condanna le azioni israeliane a Gaza. Intanto, però, il cancelliere tedesco Merz – dopo la decisione presa alcuni giorni fa di un blocco dell’export militare, per quanto parziale, verso Israele – ha fatto sapere che «la Germania non riconoscerà lo stato di Palestina» alla prossima assemblea generale Onu di settembre, come hanno invece annunciato Francia, Regno unito, Canada, Australia e Malta. «Non aderiremo all’iniziativa perché non riteniamo che i requisiti per il riconoscimento siano soddisfatti», ha detto Merz.
Nelle stesse ore arrivava un no anche da Belgio, scandito dal primo ministro Bart De Wever, anche se con toni meno categorici. «Il riconoscimento mi sembra necessario – ha affermato il leader nazionalista fiammingo – ma deve essere legato a una serie di condizioni», come la smilitarizzazione di Hamas e il rilascio degli ostaggi. Poche ore prima, il suo ministro degli esteri aveva prospettato una «grave crisi» per il governo federale belga, se non fosse arrivata una posizione dura verso Israele.
INTANTO il presidente francese Macron respinge l’accusa israeliana di favorire Hamas con il riconoscimento dello stato palestinese. Al contrario, scrive l’Eliseo in una lettera di risposta a Netanyahu, l’azione vuole rappresentare una «mano tesa» per una «pace duratura» nella regione.