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Gaza, solo un ‘cessate il fuoco’. La pace va costruita

Gaza, solo un ‘cessate il fuoco’. La pace va costruita

Politica estera

11/10/2025

da Remocontro

Piero Orteca

Per la guerra di Gaza, solo un ‘cessate il fuoco’. Ogni interpretazione estensiva dell’accordo, può far perdere la strada allo sforzo diplomatico per una pace stabile. Che da questo momento, dev’essere perseguito con crescente intensità. Senza dare per scontati risultati tutti da dimostrare, in un orizzonte ancora confuso e, soprattutto, lontano.

 

Un’intesa figlia dell’ira di Trump

Chi si è battuto per due anni e coraggiosamente per la pace, come i giornalisti di Haaretz, il quotidiano liberal di Tel Aviv, adesso, senza lasciarsi travolgere dalla giustificata onda emotiva, invitano alla riflessione. E mettono in guardia dei facili entusiasmi. In Palestina, i problemi di ieri rimangono quelli di oggi. È solo improvvisamente cambiata la prospettiva per cercare di risolverli, grazie a una congiunzione politica che, in una finestra temporale precisa, ha messo assieme interessi diversi. Per cui, qualcuno che fino a ieri aveva detto ostinatamentec “no” (Netanyahu e Hamas), ha dovuto necessariamente piegarsi di fronte ai metodi spicci (e imprevedibili) di Donald Trump. Letteralmente inferocito, dopo il clamoroso flop del bombardamento israeliano di Doha, dove si è cercato di assassinare i mediatori di Hamas. Compromettendo in maniera smisurata le relazioni diplomatiche con tutto il mondo islamico. A quel punto la Casa Bianca ha fatto una giravolta di 180°: non avrebbe permesso a Israele di mettere in crisi i rapporti faticosamente costruiti da Washington con tutti i regimi arabi moderati, a cominciare dall’Arabia Saudita. Ergo, visto ciò che garantiscono gli Usa allo Stato ebraico, da quel momento Trump ha finito di “esortare” e ha cominciato a “ordinare”. Così “Bibi” si è dovuto adeguare, cercando di salvare il salvabile, dopo aver capito che il lunatico e bizzoso Trump è pericoloso proprio per questo. Conta solo lui e gli “amici”, quando diventano scomodi, fanno la fine del due di briscola.

Le perplessità di Haaretz

Dunque, la velocità con la quale è stato chiuso l’accordo, dopo mesi e mesi di trattative inconcludenti, è direttamente proporzionale alla sua vaghezza. Tranne che per alcuni punti-cardine ben delineati (nella prima fase), per il resto è pieno soltanto di buone intenzioni. Che, come si sa, in diplomazia sono “gratis”, perché poi vanno verificate col tempo, a una a una. Per questo, Jack Knoury, l’analista di Haaretz, scrive: “Al di là delle linee generali dell’accordo – il rilascio degli ostaggi israeliani, la liberazione dei prigionieri palestinesi e l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza – poco è chiaro. L’elenco dei prigionieri da rilasciare non è stato ancora definito e resta incerto se Israele libererà i detenuti anziani o migliaia dei circa 11.000 palestinesi attualmente detenuti. Tra questi, 250 stanno scontando l’ergastolo. Non c’è chiarezza – aggiunge Knoury – nemmeno su cosa accadrà in seguito. Oltre la prima fase, non c’è un orizzonte politico. L’accordo non affronta la futura governance di Gaza, né un meccanismo di monitoraggio permanente o un quadro diplomatico più ampio. La prima fase potrebbe rivelarsi l’ultima, lasciando il quadro a lungo termine più incerto che mai”. Naturalmente, la prima osservazione che può essere fatta è relativa alla fretta, di voler mettere nero su bianco, per fissare una forma qualsiasi di intesa. Anche la più sgangherata.

Una fretta… da Premio Nobel?

I maligni dicono che Trump abbia accelerato in vista dell’assegnazione del Nobel per la Pace, che per lui sarebbe stato un trofeo “politico” da esibire alle prossime elezioni di Mid term. In questo senso, gli è andata male, perché è stata premiata l’attivista venezuelana per i diritti civili, Maria Corina Machado. Qualche altro commento, più benevolo, attribuisce la sua foia diplomatica al crollo di immagine degli Stati Unit in tutto il mondo arabo, dopo il bombardamento del Qatar. Comunque sia, l’accordo esce definito solo all’ingrosso, come spiega sempre Haaretz: “Il drammatico annuncio di un accordo di cessate il fuoco nella Striscia di Gaza è arrivato dopo due giorni di intensi colloqui a Sharm el-Sheikh. Fino a mercoledì sera, fonti coinvolte nei negoziati hanno insistito sul fatto che nulla fosse stato finalizzato. Alti funzionari palestinesi a conoscenza dei colloqui hanno affermato che ‘tutte le questioni sono ancora sul tavolo’ ed è troppo presto per parlare di un accordo definitivo. Ma qualcosa è cambiato nelle ore successive. Secondo queste fonti, i mediatori, sotto la forte pressione del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, hanno spinto Hamas a firmare l’intesa, ancor prima che tutti i dettagli fossero definiti. Il risultato è stato quello di un accordo raggiunto in fretta”.

I palestinesi da scarcerare: primi intoppi

Il Ministero della Giustizia israeliano ha pubblicato nella tarda serata di giovedì un elenco dei prigionieri di sicurezza palestinesi destinati ad essere liberati nell’ambito dell’accordo di rilascio degli ostaggi e di cessate il fuoco con Hamas. “L’elenco completo – scrive Josh Breiner di Haaretz – non è ancora stato reso pubblico, a seguito della sostituzione all’ultimo minuto di 11 nomi già approvati dal governo israeliano. Un funzionario ha dichiarato ad Haaretz che le modifiche sono state probabilmente apportate a seguito delle pressioni delle autorità di sicurezza e delle famiglie in lutto, spingendo i ministri a convocare telefonicamente il Consiglio dei ministri per votare sulla modifica, che ha sostituito i prigionieri di Fatah con agenti di Hamas. Nel frattempo, il Choose Life Forum, un forum di famiglie in lutto e vittime del terrorismo, ha presentato una petizione a nome di centinaia di famiglie, chiedendo ai tribunali di bloccare il rilascio di quelli che, a loro dire, sono “terroristi che continueranno a uccidere”.

Il problema resta Barghouti

Come avevamo anticipato, nella lista dei palestinesi detenuti da scarcerare manca Marwan Barghouti, l’unica figura carismatica che potrebbe unificare il movimento e contribuire a dargli una parvenza di Stato. Forse è per questo, come annota amaramente Haaretz, che “il piano israeliano per il cessate il fuoco a Gaza procede senza il leader di Fatah incarcerato, figura centrale della politica palestinese e uno dei principali candidati alla successione di Mahmoud Abbas.

L’ex capo dello Shin Bet, Ami Ayalon, lo definisce ‘l’unico leader palestinese in grado di unire il suo popolo’. Marwan Barghouti, importante leader di Fatah, non prenderà parte all’imminente rilascio dei prigionieri palestinesi nell’ambito dell’accordo di cessate il fuoco raggiunto tra Israele e Hamas, proseguendo la politica israeliana di lunga data di escludere i prigionieri ‘pesanti’ da tali accordi”. Un piccolo punto di vista: se si vuole veramente un accordo di pace, allora non si può fare a meno di Marwan Barghoti. Se no, significa che stiamo parlando di un’altra cosa.

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