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Gaza, tutti a spartirsi i dividendi della pace

Gaza, tutti a spartirsi i dividendi della pace

Politica estera

14/10/2025

da Remocontro

Piero Orteca

Bisogna riconoscerlo. Quello del ‘cessate il fuoco’ a Gaza è stato un colpaccio diplomatico di Trump. Per ora. Una ‘finestra di opportunità’ che ha saputo sfruttare. Ma il difficile comincia adesso, perché tutti gli occhi del mondo saranno puntati sulla Striscia di Gaza e, più in generale, sull’intero Medio Oriente. Che diventerà il durissimo esame per la politica estera americana, almeno nei prossimi tre anni.

Uno scontro tra ‘fondamentalismi’

Abbiamo già scritto, in diverse circostanze, che la guerra è sempre e comunque un ‘affare in perdita’. E chi la sceglie come mezzo per risolvere i conflitti, perde sempre e comunque. Anche quando sembra che abbia vinto sul campo. Insomma, i costi e gli effetti collaterali a lungo termine di uno scontro bellico, si ‘spalmano’ pesantemente su tutti i partecipanti. Esistono intere biblioteche, colme di volumi sull’economia della guerra, che convincerebbero anche il più guerrafondaio degli Statisti. Nel caso specifico, tutto è stato complicato dalla presenza immanente, anche se non sempre esplicita, della religione come elemento addizionale di scontro. Conosciamo già nei particolari il peso che hanno avuto (e hanno ancora) le Madrase islamiche nel ‘diplomare’ migliaia di seguaci tra i più ‘duri e puri’. Soldati pronti a farsi ‘martirizzare’ nella lotta contro un Occidente visto come corrotto, corruttore e neocolonialista. L’estremizzazione del conflitto a Gaza, però, è stata dovuta, in massima parte, all’approccio della risposta israeliana, dopo i massacri del 7 ottobre. Nessuno discute il fatto che sparare sui civili disarmati (come ha fatto Hamas) sia senz’altro un atto di terrorismo di massa. Ma, innegabilmente, è anche vero che, rispetto al passato, Israele è diventato nettamente più ‘fondamentalista’. Quasi sanguinario. E a Gaza è stata portata avanti una vera e propria rappresaglia senza chiare regole d’ingaggio, che si è presto trasformata in una vergognosa «caccia alle quaglie».  Perché ‘guerra’, anche sproporzionata, è quando l’altro si può difendere (come in Ucraina). E non, quando, invece fa da inerme bersaglio mentre cerca di afferrare un tozzo di pane dal camion degli aiuti.

È l’ora di far fruttare l’armistizio

Così com’era, la situazione non prometteva nulla di buono. Gli ingranaggi della diplomazia sembravano bloccati e gli ‘sherpa’ delle Cancellerie, incaricati di trovare uno straccio di soluzione, giravano a vuoto. Intanto, in politica interna, sia israeliana che americana, incombevano numeri di sondaggi preoccupanti, sia per il ‘job approval’ di Trump che per la popolarità di Netanyahu e del suo Likud. Perché, la verità, che molti osservatori non dicono, è che la vera partita mediorientale si gioca all’interno dei rispettivi Parlamenti. Netanyahu è quello che per certi versi sta peggio: il Likud cala e la sua coalizione di maggioranza è attaccata con lo scotch. Sta in piedi per un solo voto, perché i partiti ultra-religiosi sono sul piede di guerra. Rifiutano, come la peste, la coscrizione obbligatoria nell’esercito per i loro fedeli (gli haredim). E siccome si sta studiando una legge apposta, hanno già messo le mani avanti, dicendo al premier che lo lasceranno ‘affondare’. Il che significa che, senza la copertura della carica politica, Netanyahu (che è sotto processo per corruzione) potrebbe anche finire in galera. Per cui, le prossime elezioni diventano per lui una questione di vita o di morte. Sono previste per l’autunno del prossimo anno, ma già si è fatto sentire qualche vocina di corridoio che sussurrava un possibile ‘colpo di teatro’. Perché, parliamoci chiaro, la liberazione degli ostaggi è stato un colpaccio pure per lui e se le cose si dovessero mettere in un certo modo, ‘Bibi’ potrebbe tentare subito l’azzardo: sciogliere il governo e andare ad elezioni anticipate ai primi di febbraio. Questa voce ha già cominciato a circolare negli ‘ambienti che contano’ e aspetta di ricevere conferme nei prossimi giorni.

Il Presidente Usa guarda alle Mid Term

Nessuno fa niente per niente, ma in questo caso, tutti sanno che diedero la liberazione degli ostaggi c’è il bizzoso Presidente degli Stati Uniti. Ieri, alla Knesset, Trump ha ricevuto un’accoglienza trionfale e il suo discorso è stato mandato in diretta da tutte le televisioni israeliane. Ancora più impressionante è stata, domenica sera, l’oceanica manifestazione di Tel Aviv, in Piazza degli Ostaggi, dove oltre mezzo milione di persone si è riunito per esprimere la propria gioia per l’accordo raggiunto e, come si vedeva in decine di cartelli, per ringraziare il Presidente Trump. Abbiamo già scritto che l’accordo è, in sostanza, una ‘intesa all’ingrosso’, che sicuramente nel prosieguo creerà seri problemi di applicazione. Ma la verità è che per ora funziona, gli ostaggi sono stati liberati e sono tornati a casa e gli israeliani non hanno più bombardato. Sembra poco, ma per gente che soffre quotidianamente e la cui unica forza è la speranza, in effetti vuol dire tanto. Il ‘job approval’ di Trump in patria non era granché. Secondo RealClearPolitics, che fa la media degli istituti di sondaggio più importanti, lo gradiscono al 45,3%, mentre lo disapprovano al 52%. Quindi Trump ha uno spread di approvazione negativo, pari al -6,7%. Non è ancora disastroso, ma può cominciare a essere preoccupante. In particolare, perché la percentuale di approvazione del lavoro del Presidente, misura anche la sua capacità di trascinamento dei candidati che saranno presentati alle elezioni di Medio Termine, il prossimo anno, per il ricambio della Camera e del Senato. La House of Representatives dovrà rieleggere tutti i suoi 435 membri, mentre il Senato sarà rinnovato per 1/3 (33 membri). Se i Repubblicani dovessero perdere una delle due Camere del Congresso, renderebbero Trump un Presidente ‘dimezzato’. Perché i Democratici potrebbero cominciare a bloccargli tutte le leggi di spesa, indispensabili per realizzare le strategie della sua Amministrazione.

E un sondaggio già premia Trump

Un sondaggio di Issues and Insights ci rivela il peso che potrebbe avere la strategia di politica estera, adottata da Trump in Medio Oriente, sull’eventuale spostamento di flussi elettorali. «Gli sforzi in corso del Presidente Trump per riportare la pace tra Israele e il gruppo terroristico Hamas, a Gaza, sembrano aver dato i loro frutti la scorsa settimana, con un accordo per la cessazione delle ostilità e il rilascio degli ostaggi e dei prigionieri rimasti. Ma gli elettori americani sosterranno l’audace piano di Trump? La risposta è un sonoro sì, secondo l’ultimo nostro sondaggio. Dopo mesi di colloqui e pressioni, Trump è riuscito a mediare un accordo precario che potrebbe fungere da modello per futuri accordi di pace nella regione. Conoscendo le linee generali dell’accordo come presentato inizialmente, abbiamo chiesto agli elettori: ‘Sostenete o vi opponete al piano di pace di Trump per Gaza, che prevede un cessate il fuoco immediato, lo scambio di ostaggi e la ricostruzione di Gaza sotto la supervisione internazionale?’

  • La risposta è stata forte: il 59% ha dichiarato che avrebbe sostenuto l’accordo ‘fortemente’ (30%) o ‘abbastanza’ (29%), mentre solo il 18% si è opposto ‘fortemente’ (9%) o ‘abbastanza’. Un ampio 23% degli americani ha dichiarato di non essere sicuro».
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