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Germania: 10 mila disoccupati al mese, crollo produzione ma riarmo

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Quello di Merz doveva essere il governo del riscatto, ma i fatti raccontano una quasi catastrofe dopo la fine del rapporto stretto con la Russia sul gas, la concorrenza cinese e i dubbi sulla difesa americana. «La Germania veleggia in acque agitate e a rischio di tempesta, e i dati sull’industria storico traino della prosperità tedesca parlano chiaro», avvertono gli analisti. Ma intanto il governo Merz spende e spande nella corsa europea al riarmo.

Cosa sta succedendo all’economia tedesca?

Ad agosto, denuncia il Berliner Zeitung, «la produzione industriale è crollata significativamente. E l’Ufficio federale di statistica, trasforma il titolo in numeri. Industria, edilizia e fornitori di energia hanno prodotto complessivamente il 4,3% in meno rispetto al mese precedente. «Il calo più significativo dall’inizio della guerra in Ucraina», rilancia il giornalismo. Berlino ha visto la produzione industriale in rosso per otto degli ultimi dodici mesi, i dati finali.

Export in declino strutturale

‘Trading Economics’ ricorda che il crollo ad agosto si è avuto in campi strategici: «Nell’industria automobilistica (-18,5%), nella produzione di macchinari e attrezzature (-6,2%), nei prodotti farmaceutici (-10,3%) e nei prodotti informatici, elettronici e ottici (-6,1%)». Il 48% delle esportazioni tedesche secondo Destatis. «La possibilità che a entrare in recessione sia l’intero sistema-Germania», avverte InsideOver. Da agosto 2022 a agosto 2025 il dato mensile dell’export è calato da 136 a 129,7 miliardi di euro, e di fatto Berlino ha perso il 5% del suo potenziale di esportazione.

10mila posti di lavoro in meno ogni mese

L’Istituto Economico Tedesco sostiene che la Germania abbia carenza di personale qualificato, un ‘deficit’ di 400mila lavoratori, mentre – paradossalmente – il Frankfurter Rundschau denuncia che mediamente nel 2025 la Germania sta perdendo 10mila posti di lavoro ogni mese. L’economista Enzo Weber ha ricordato a Die Welt che gli annunci di nuove offerte di lavoro sono ai minimi dall’epoca dell’arrivo del coronavirus nel 2020. Problematiche strutturali che superano l’orizzonte dei singoli governi, ma il cancelliere rischia però di trovarsi impantanato, avverte Andrea Muratore

Le sfide strutturali

Tra dubbi legittimi e incertezze intento avanza a fatica il progetto di riconversione industriale per il riarmo, che se può supplire una parte della domanda mancante dall’automotive  – meno Volfswagen e più carri armati -, ma certamente non può fare molto per gli altri settori in crisi. C’è la spada di Damocle del settore siderurgico, che dovrebbe alimentare tutti i piani del maxiprogetto da 500 miliardi di euro di investimento in infrastrutture concordato da Merz con gli alleati socialdemocratici.  Ma la produzione di acciaio tedesca è diminuita del 12% nella prima metà di quest’anno, colpisce il Financial Times.

Mercato, politica ed economia

Merz ha annunciato agevolazioni fiscali per le imprese per l’acquisto di attrezzature e sussidi sul prezzo dell’elettricità per le industrie ad alta intensità energetica come quella chimica, e ha nominato un responsabile degli investimenti, l’ex presidente della Commerzbank Martin Blessing, per promuovere la Germania come destinazione attraente per i ‘capitali stranieri’ ma ad oggi non si colgono segnali di ripresa e Berlino appare destinata a un altro anno di incertezze.

Tra Usa e Cina

Nel frattempo, sono arrivati i dazi Usa e con la Cina è nata una sfida ricca di tensioni. La Germania, dopo aver fatto la faccia feroce verso la Russia, ha chiesto agli Usa di esentare dalle sanzioni sul petrolio di Mosca la filiale tedesca di Rosneft mentre i costi energetici rimangono un fattore di criticità. Non sarà facile invertire la china per Merz, la cui luna di miele col Paese è già finita, sottolinea Andrea Muratore. E alle cui spalle incombe l’ombra di Alternative fur Deutschland, pronta a sfruttare ogni segnale di malcontento del Paese.

Lista della spesa in armamenti

Centocinquanta giorni dopo aver promesso di trasformare la Germania nella prima potenza militare convenzionale d’Europa il cancelliere Friedrich Merz, presenta la lista della spesa pluriennale da inserire nel bilancio militare del 2026. Un elenco lungo 39 pagine zeppo di armi di ogni genere, marca e paese di origine (tra cui spicca anche Israele), pauroso sotto il profilo del costo economico e inquietante per il salto di qualità della capacità offensiva della Bundeswehr che in futuro «sarà una forza di difesa, ma solo nel nome», avverte Sebastiano Canetta sul manifesto.

Germania da paura

Il riarmo tedesco si apre con 50 caccia-bombardieri F-35 adatti anche al trasporto di ordigni nucleari, mezzo migliaio di blindati fabbricati dal colosso nazionale Rheinmetall, 14 sistemi di difesa aerea Iris-T e 400 Tomahawk con gittata di 2.500 chilometri: lo stesso missile che Donald Trump ha negato a Volodymir Zelensky nel corso dell’ultimo faccia a faccia. Ma arriva anche la prima partita del «muro di droni» promesso di Pistorius all’indomani del «sorvolo ostile» di oggetti non identificati su alcuni siti sensibili del paese. Droni sospettabilissimo nelle mani di troppi per usi di comodo.

Numeri da sballo

In totale la spesa bellica tedesca corrisponde a 377 miliardi di euro, conteggia il sito ‘Politico’ che ha diffuso stralci della lista preparata dal leader Cdu di concerto con gli alleati di governo, il vicecancelliere e ministro delle Finanze, Lars Klingbeil, e il ministro della Difesa, Boris Pistorius.

Gigante dai piedi d’argilla

In tanti felici e contenti. Volontà di potenza di Merz, perfetto per l’amministrazione Usa, il segretario generale della Nato e la presidente della Commissione Ue che lo prenderà a modello. Salvo il ’dettaglio’ che non c’è la montagna di euro che servono. «Un gigante dai piedi d’argilla», come da bocciatura della manovra da parte della Corte dei Conti per l’esposizione debitoria che da qui al 2029 porterà il deficit statale a 850 miliardi. Chi guadagna davvero dalla valanga di denaro che comunque inizia ad uscire dalle casse Ue e di Berlino, «fin da subito, senza rischi d’impresa» – denuncia Vannetta -, (così Pistorius), è il settore bellico trainato da Rheinmetall. Da sola l’impresa renana incassa 88 miliardi sul totale delle commesse, ma gioisce non poco pure la bavarese Diehl Defence, seconda beneficiaria dell’affare che nel suo caso vale 17,3 miliardi ed è politicamente targato Csu.

E anche Israele gode

Poi arriveranno i droni; tra le voci di spesa più elevata proprio l’espansione della capacità degli «Heron Tp» prodotti in Israele con l’acquisto di 100 milioni di euro di munizioni dedicate. Si aggiungono a 12 droni tattici «Luna Ng» del valore di 1,6 miliardi e al programma dei droni navali per la marina militare del costo di 671 milioni. Le voci elencate saranno presentate in diverse tranche per essere sottoposte al voto della Commissione bilancio del Bundestag e ogni commessa di valore superiore a 25 milioni di euro necessita del suo via libera, ricorda Politico, ma la lista di Merz prova comunque la definizione già di 320 appalti di cui 178 assegnati. L’industria bellica tedesca porta a casa 160 commesse, ovvero circa 182 miliardi di euro, il resto saranno gare aperte, a eccezione dei contratti obbligati con gli Usa come gli F-35 che saranno 15 più del previsto.

Dall’acciaio al petrolio

Dopo l’acciaio tedesco ora tocca al petrolio russo di Rosneft sottoposto a sanzioni Usa da cui dipendono le tre raffinerie tedesche di Karlsruhe, Vohnburg e Schwedt. Attualmente la filiale Rosneft-Deutschland non è gestita da Mosca ma in regime di amministrazione controllata dai tedeschi e «così il fermo dell’impianto di Schwedt, che al Consiglio di fabbrica appare inevitabile, avrebbe effetti devastanti sull’intero Nord-Est della Germania, compreso l’aeroporto di Berlino» è l’allarme lanciato dalla Cdu del Brandeburgo che ammette: «Il governo Merz sta trattando l’esenzione dalle sanzioni su Rosneft con Trump». Un altro indizio della grande impotenza di Berlino nonostante tutti i muscoli.

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