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‘GiranDonald’ sui dazi alla Cina cambia idea per la 35ª volta

‘GiranDonald’ sui dazi alla Cina cambia idea per la 35ª volta

Girandola o se preferite, l’ottovolante del Luna Park Trump. Il padrone del baraccone ha di nuovo cambiato idea, e ora promette viaggi a ‘prezzi politici’, giro della morte compreso. Basta solo mettersi in fila alla cassa e aspettare lo sconto. No, non siamo dentro il set del Mago di Oz e se ci fosse il venditore di zucchero filato, non sembrerebbe certo di essere alla Casa Bianca.

Presidente GiranDonald

Il Presidente degli Stati Uniti ha appena finito di cambiare idea per la 35ª volta. Dunque, Donald Trump, come annuncia il Wall Street Journal, starebbe valutando seriamente la possibilità di ridurre, in modo significativo, i dazi sulle importazioni cinesi. E da Pechino, di rimbalzo, hanno subito replicato di essere pronti al negoziato, se mette da parte tutte le minacce. Da parte sua, rispondendo ai giornalisti, il Presidente ha fatto una decisa marcia indietro, facendo capire di essere intenzionato a una sorta di mezza ritirata strategica. Anche se non ha fornito dettagli precisi, né ha ipotizzato specifici livelli di aliquota. Concetto ribadito dal Journal: «Il Presidente Trump – scrive il quotidiano finanziario – non ha ancora preso una decisione definitiva», aggiungendo che «le discussioni restano fluide e che sono diverse le opzioni sul tavolo».

La Casa Bianca ‘fluida’

«Un alto funzionario della Casa Bianca – prosegue il WSJ – ha affermato che i dazi sulla Cina, potrebbero probabilmente scendere tra il 50% e il 65% circa. L’Amministrazione sta anche valutando un approccio a più livelli, simile a quello proposto dalla Commissione per la Cina della Camera alla fine dello scorso anno. Un’ipotesi che prevede imposte del 35% per i prodotti che gli Stati Uniti non considerano una minaccia per la sicurezza nazionale e almeno il 100% per i prodotti considerati strategici». Naturalmente, sia la presa di posizione di Trump che le successive indiscrezioni, fatte filtrare in esclusiva dal Wall Street Journal, sull’entità dei tagli ai dazi da imporre alla Cina, hanno scatenato un polverone di ripercussioni. Sia politiche che economiche, perché la prima a rianimarsi è stata proprio la Borsa di New York. Ma per evitare speculazioni di qualsiasi tipo, il portavoce della Casa Bianca, Kush Desai, ha voluto frettolosamente precisare che «il Presidente Trump è stato chiaro: la Cina deve raggiungere un accordo con gli Stati Uniti d’America. Quando verranno prese decisioni sui dazi – ha ribadito –  queste verranno prese direttamente dal Presidente. Qualsiasi altra affermazione è pura speculazione».

Problemi nella squadra Trump

Il che, visto il putiferio scatenato dall’ennesimo voltafaccia della Casa Bianca, equivale a una «excusatio non petita». Tesi dimostrata dal fatto che, sullo spinoso argomento, è entrato a gamba tesa anche un personaggio di primo livello dell’Amministrazione Usa, come Scott Bessent, il Segretario al Tesoro. «L’attuale modello economico cinese – ha sostenuto il ministro – si basa sull’esportazione per uscire dai problemi economici. È un modello insostenibile, che danneggia non solo la Cina, ma il mondo intero. Quindi – è la tesi di Bessent – la Cina deve cambiare. Il Paese sa di doverlo fare. Tutti sanno che deve cambiare. E noi vogliamo aiutarla a cambiare, perché anche noi abbiamo bisogno di un riequilibrio». Insomma, a quanto pare, il vento dalle parti dello Studio Ovale è variabile, per intensità e direzione. Probabilmente, si stanno moltiplicando, dentro l’Amministrazione Trump, le prese di posizione di chi lo invita a ‘frenare’ la sua furia iconoclasta sui dazi. E magari su tutto il resto. Perché, a parte gli indicatori economici, i sondaggi più importanti, come il ‘job approval’ (approvazione del lavoro fatto dal Presidente), cominciano a mettere qualche pensiero.

Già guardando alla elezioni di Midterm

Soprattutto per gli strateghi del ‘Maga trumpiano’, che puntano a preparare fin da subito un terreno fertile a lunga gittata, guardando già alle elezioni di Mid term, che serviranno a consolidare la presa di potere assoluta sul Congresso. Ma se l’economia dovesse cominciare a girare male, Trump tra due anni potrebbe ritrovarsi un Presidente ‘lame-duck’, cioè «anatra zoppa», con il Senato contro, per esempio. Con tutto ciò che ne consegue in termini di esercizio del proprio calendario politico. D’altro canto, anche lo stesso Partito repubblicano, dietro le quinte, è in fibrillazione. Niente di nuovo sotto questo cielo.

Oltre il merito, il metodo

Chi conosce Trump (e ha la pazienza di leggerci), sa benissimo che gli effetti più devastanti delle sue scelte in campo economico, arrivano non solo dal merito, ma anche dal metodo. I troppi giri di valzer e i ripetuti ripensamenti sulle regole del sistema, tolgono agli investitori, alle imprese e ai risparmiatori ogni indispensabile punto di riferimento, per poter programmare correttamente le loro attività. L’imprevedibilità del Presidente degli Stati Uniti, inietta instabilità nei mercati e alimenta perniciose fluttuazioni dei prezzi e, in generale, di tutti gli indicatori. Indispensabili per una corretta programmazione, che viene resa di fatto una lotteria. Se le ‘aspettative’ giocano un ruolo sempre più decisivo, allora anche il panico finanziario è una realtà da non sottovalutare. E qui veniamo alla riflessione finale, sui rischi legati, più che ai contenuti, al «metodo Trump» per quanto riguarda l’economia e la finanza in particolare.

E la Federal Reserve non si tocca

La Casa Bianca, tra mille polemiche, ha dovuto precisare che non c’è alcuna intenzione di ‘dimissionare’ Jerome Powell, il Presidente della Federal Reserve (la Banca centrale Usa). Cioè, per capirci, dell’unica istituzione americana veramente in grado di opporsi al potere assoluto e bizzoso di Trump. Per certi versi, meglio ancora della Corte suprema. Ma già il fatto che si metta in dubbio l’indipendenza della Fed è, di per sé, un pessimo auspicio, non solo per gli Stati Uniti, ma per tutto il mondo.

24/04/2024

da Remocontro

Piero Orteca

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