‘Ragioni più commerciali che operative dietro il ritiro dei carri americani Abrams dal fronte ucraino’, denuncia Analisi Difesa. Ritirati dal fronte quello che resta dei 31 super carri armati forniti dagli Stati Uniti lo scorso autunno, dei quali 5 o 6 sono stati distrutti e 3 danneggiati da missili anticarro e soprattutto da droni-kamikaze russi sul fronte a ovest di Avdiivka, attualmente l’area più calda nel Donbass.
E sui 95 miliardi di dollari Usa destinati agli alleati (61 per l’Ucraina), la maggior parte resterà negli Stati Uniti in commesse per l’industria della Difesa e attività di comandi militari e agenzie statunitensi.
Abrams in ritirata su richiesta statunitense
Dopo mesi di insistenti pressioni ucraine, i tank che gli USA hanno consegnato nell’autunno 2023, a fine controffensiva perdente ucraina, vengono ritirati dal fronte perché si sono rivelati vulnerabili al fuoco nemico. Vulnerabili come tutti i tank impiegati in questo conflitto, di tipo russo-sovietico o occidentale che siano. L’impatto delle moderne armi anticarro (missili, droni e ’munizioni vaganti’) ha mostrato la fragilità dei mezzi terrestri di ogni tipo, inclusi i più protetti e corazzati.
‘Ritirata strategica’
«Per ora, i carri armati sono stati spostati dalla prima linea e lavoreremo con gli ucraini per ripristinare le tattiche», prova a giustificare il vice dei capi di stato maggiore congiunti, ammiraglio Christopher Grady, confermando il ritiro degli Abrams dal fronte. «Proprio mentre i grandi media statunitensi evidenziano il rischio di un tracollo del fronte, il ritiro dei carri Abrams, indebolisce ulteriormente la prima linea degli ucraini», denuncia Gianandrea Gaiani.
Ragioni di marketing
Sfugge la ragione operativa del ritiro solo degli Abrams poiché al posto loro saranno bersaglio altri carri armati, mentre è più facile comprendere le ragioni ‘commerciali’ dell’apparato industriale della Difesa americano, già in difficoltà alla distruzione dei primi esemplari di ognuno di quei 10 milioni su cingoli. Esemplare il blocco imposto a Instagram del video diffuso dai russi dell’Abrams in fiamme per «business reputation and company image». (https://vk.com/video-50332460_456406439) +
Carro armato che brucia non lo vendi
Gli Stati Uniti sono non solo il più grande produttore, ma il maggior esportatore di armi, con il 42 per cento mondiale, dati SIPRI. Sistemi d’arma efficaci, contratti di export e vendite. Ma se dei carri armati da 10 milioni di dollari vengono distrutti da droni-kamikaze da poche migliaia di dollari, allora la partita commerciale si fa dura. Considerato che l’US Army ha in magazzino una riserva di 3.500 Abrams usati che sperava di cedere ad eserciti alleati, allora tutto diventa più chiaro. Va anche detto che non sono andati meglio, sui campi di battaglia ucraini, gli altrettanto decantati Leopard tedeschi.
Obiettivo: il mercato europeo dei tank
Europa senza carri armati (dopo averne ceduti molti a Kiev), e senza la capacità industriale di produrne molti e in tempi rapidi, e gli Stati Uniti ci contavano. Negli ultimi anni i suoi Abrams sono stati acquisiti dalla Polonia e dalla Romania che, con l’Ucraina, sono per ora gli unici clienti europei del tank americano, in servizio in una dozzina di nazioni per lo più nel mondo arabo (Bahrein, Kuwait, Arabia Saudita, Iraq, Egitto, Marocco…) ma anche in Australia e a Taiwan.
I conti veri sugli ‘aiuti americani’
Gran parte dei 95 miliardi di dollari Usa destinati agli alleati (61 per l’Ucraina), di fatto resteranno negli Stati Uniti in commesse per l’industria della Difesa e attività di comandi militari e agenzie statunitensi.
Lo ha rilevato nei giorni scorsi il Washington Post spiegando che quasi l’80% del denaro stanziato per Ucraina e Israele sarà speso negli Stati Uniti o nell’industria della difesa americana e persino gli aiuti alimentari devono essere acquistati negli USA e devono essere trasportati tramite corrieri americani. Un indotto economico (che verrà spalmato su gran parte degli Stati degli USA) non certo irrilevante in piena campagna elettorale.
29/04/2024
da Remocontro