Bisogna investire circa 477 miliardi all’anno in più nella transizione ecologica per centrare gli obiettivi dell'Unione europea al 2030
Siamo in ritardo. Mentre Donald Trump torna alla Casa Bianca intenzionato a smantellare qualsiasi impegno per il clima, l’Unione europea tiene fede ai propri obiettivi di decarbonizzazione: meno 55% di emissioni nette di gas serra entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, net zero entro il 2050. O almeno formalmente. Perché a guardare i numeri che contano davvero, quelli degli investimenti necessari per questa colossale transizione ecologica, la verità è che il Vecchio Continente è molto indietro sulla tabella di marcia. È quanto emerge da un rapporto della Banca centrale europea (Bce).
Servono altre centinaia di miliardi di investimenti nella transizione ecologica
Quantificare gli investimenti necessari per la transizione ecologica nell’Unione europea, chiarisce da subito il rapporto, è un compito tutt’altro che semplice. Nel decennio che si è concluso nel 2020, la media si è attestata sui 764 miliardi di euro all’anno. Di per sé, è una cifra considerevole. Prendendo come anno di riferimento il 2023, rappresenta il 5,5% del Prodotto interno lordo (Pil) dell’Unione. E quasi un quarto dei suoi investimenti reali. Cioè quelli in beni tangibili o capitale fisico, diversi dagli investimenti finanziari.
Per tagliare davvero le emissioni nette di gas serra del 55% entro il 2030, però, bisogna premere sull’acceleratore. Investendo circa 477 miliardi di euro in più ogni anno fino alla fine del decennio. Questa cifra è una media tra varie stime. A seconda della metodologia adottata, la forbice oscilla tra i 2,9 e i 4 punti percentuali di Pil in più rispetto a oggi (misurati sulla base dei prezzi del 2023). Il totale dovrebbe quindi aggirarsi sui 1.200 miliardi di euro l’anno, l’8,9% del Pil del 2023.
«Il compito è indubbiamente arduo», scrivono senza mezzi termini gli esperti della Banca centrale europea. Perché è così: le cifre sono enormi. Ma non è aspettando che si risolve il problema. Anzi: meno si investe nella mitigazione delle emissioni di gas a effetto serra, più gravi saranno le conseguenze del riscaldamento globale, più bisognerà investire nell’adattamento. Cioè negli interventi volti a limitare i danni proteggendo il territorio, gli edifici e le infrastrutture.
Da banche e mercati finanziari dipende la decarbonizzazione dell’Unione europea
Di fronte a dati simili, le banche dovrebbero sentirsi chiamate in causa. Perché «in un sistema finanziario incentrato sulle banche come l’area euro, gli istituti di credito giocano un ruolo cruciale nel garantire l’accesso ai finanziamenti per la transizione verde», si legge. Il testo invita apertamente le banche a contribuire alla decarbonizzazione dei settori più critici, vale a dire industria manifatturiera, trasporti ed energia. Evidenziando una sorta di paradosso: se alzano i tassi di interesse per le imprese inquinanti in considerazione dei rischi climatici che comportano, allora queste dovranno sostenere costi maggiori per abbattere il proprio impatto.
Il rapporto chiarisce che, per sbloccare gli investimenti nella transizione ecologica, devono entrare in gioco tanti attori. Come i fondi di private equity, a cui si rivolgono le startup innovative. O i green bond, le obbligazioni funzionali al finanziamento di progetti ambientali. Dopo essere cresciuti a un ritmo medio del 50% all’anno tra il 2015 e il 2020, nel 2023 questi strumenti finanziari rappresentavano ancora solo il 6,8% del totale del mercato obbligazionario dell’Unione europea. La Banca centrale europea chiede anche di fare passi avanti sull’unione dei mercati dei capitali. Proprio per far sì che le imprese abbiano accesso a un ventaglio più ampio di opportunità di finanziamento.
21/02/2025
da Valori