31/08/2025
da Il Fatto Quotidiano
Itinerario e sicurezza restano informazioni sensibili. La rotta verrà definita nei prossimi giorni
“Il quinto giorno sono 260 tonnellate”, non crede ai suoi occhi Stefano Rebora, fondatore di Music for Peace e membro dell’equipaggio della Global Sumud Flotilla che il 4 settembre partirà da Catania verso la Striscia di Gaza per tentare di consegnare gli aiuti alla popolazione stremata. A Genova, sabato 30 agosto, il magazzino dell’associazione è un’impressionante catena di montaggio solidale. Music for Peace e il Collettivo autonomo lavoratori portuali (Calp) avevano chiesto 40 tonnellate in cinque giorni, ne sono arrivate oltre 260. Questa notte dal Porto Antico partiranno quattro imbarcazioni con una parte degli aiuti e i primi equipaggi, accompagnati da una fiaccolata che partirà alle 21 dalla sede di Music for Peace in via Balleydier. “Dal sostegno sentito in questi giorni ci aspettiamo una partecipazione sbalorditiva” spiegano gli organizzatori, che chiedono di portare solo fiaccole e bandiere della Palestina. Nei giorni scorsi, senza sosta, persone in fila a portare aiuti e altri che si fermano a smistare i pacchi hanno affollato la sede dell’associazione, che sarà anche centro operativo di coordinamento di alcune delle imbarcazioni della flotta. Il materiale raccolto è stato selezionato, diviso e inscatolato in pacchi da 20 e 23 kg. Insieme al cibo, in molti pacchi anche disegni portati da bambini con messaggi di pace e solidarietà. Oltre 2.200 di questi pacchi (pari a 45 tonnellate) verranno imbarcati a bordo di 40 barche della flotta internazionale; la parte restante andrà alla missione di Music for Peace in Sudan e alla distribuzione settimanale per persone senza dimora in città. I genovesi Stefano Rebora e José Nivoi si imbarcheranno direttamente a Catania.
“Se dovesse succedere qualcosa al momento dell’avvicinamento a Gaza, sarà essenziale la solidarietà di tutti per spingere con forza il materiale all’interno della Striscia.” Rebora tiene insieme entusiasmo e cautela: “In tanti anni di missioni questa è la prima missione nella quale non posso garantire nulla. Ma non ci hanno lasciato alternative, tutti i valichi sono chiusi. La gente non ha più nulla. Abbiamo provato a tenere finora un basso profilo, ma da maggio 2024 non ci è stato in alcun modo possibile continuare ad aiutare.” L’Ong ribadisce il metodo, costruito in anni di presenza: “A Gaza abbiamo contatti con la chiesa e referenti in più aree, proprio per il nostro modus operandi: distribuire casa per casa, famiglia per famiglia.” E aggiunge: “A chi ci seguirà chiediamo di fare pressione per rompere l’embargo, far entrare gli aiuti umanitari e riconoscere la Palestina.”
Anas Hagag, referente di Music for Peace nella Striscia, parla a ilFattoQuotidiano.it in collegamento telefonico con Rebora da Khan Yunis, in sottofondo il ronzio di un drone militare. “La Flotilla? Non credo l’esercito israeliano vi consentirà di arrivare, ma la situazione è imprevedibile. Ma è importantissimo sapere che ad altra gente sta a cuore la nostra vita, la nostra anima.” Poi scandisce, a chi considera velleitaria l’operazione: “Sono state uccise circa 63.000 persone, tanti di loro donne e bambini. Non siamo numeri, abbiamo bisogno di sapere che ad altri interessano le nostre vite e i nostri sogni. Vogliamo vivere liberi e tranquilli come tutte le persone nel mondo, la solidarietà internazionale è una delle poche cose su cui possiamo contare.” La sua casa è stata rasa al suolo; della comunità cattolica racconta la scelta di non abbandonare l’area e i rischi ovunque: “Non ci sono luoghi sicuri, hanno colpito la chiesa, continuano a colpire ospedali e ambulanze.” Sul piano operativo aggiunge un punto cruciale: “Il porto è parzialmente fruibile, quindi a livello teorico ci sono possibilità concrete di attraccare.”
Davanti a Music for Peace continuano ad arrivare persone con sacchetti e camion di materiale. Riccardo Rudino, Calp, termina il turno e si unisce allo smistamento degli aiuti arrivati con un tir e alcuni furgoni dei portuali livornesi: “La mobilitazione trasversale a cui stiamo assistendo è qualcosa di sbalorditivo, in città non si parla d’altro. Tutti stanno dando una mano come possono.” Anche i terminalisti, normalmente controparte a livello sindacale, offrono supporto logistico e materiale: “Ma d’altronde fu così pure per il Kosovo, Genova è questa.” Sui rischi della Global Sumud Flotilla la linea ricalca i blocchi delle armi in transito dal porto: “Se succede qualcosa di serio ai 450 ragazzi e ragazze imbarcati, o se non accettassero di consegnare gli aiuti, blocchiamo tutto.” Il riferimento è alle merci che transitano da Genova verso Israele, 13.000–14.000 container all’anno: “Se la merce non arriva alla popolazione di Gaza, da qui non esce più un chiodo verso Israele.”
Anche la sindaca Silvia Salis, che giovedì è passata a sostenere i volontari, sarà presente alla fiaccolata: “Nella vita prendere posizione è spesso qualcosa di molto scomodo e in questo caso anche rischioso. Per questo voglio che la città sia al fianco di tutte le persone che stanno contribuendo a questo grande movimento popolare.” In sopralluogo è passato anche Emilio Robotti, giurista e membro della giunta: “Il comune sostiene questa iniziativa in linea con il riconoscimento votato dal consiglio dello Stato di Palestina e la decisione di sospendere qualsiasi collaborazione con Israele finché andrà avanti in quello che da giurista mi sento di definire genocidio.” Gli equipaggi della Global Sumud Flotilla arrivano da 44 Paesi; tra i partecipanti della più grande missione civile e nonviolenta mai tentata verso Gaza, oltre a Greta Thunberg e all’ex sindaca di Barcellona Ada Colau, ci sono attivisti, medici, avvocati, sindacalisti. Non si esclude la presenza di alcuni europarlamentari, ma sui nomi c’è ancora riserbo. L’ammiraglia si chiama Vik, in memoria di Vittorio Arrigoni.
Itinerario e sicurezza restano informazioni sensibili. La rotta comune verrà definita nei prossimi giorni. L’obiettivo dichiarato è aprire corridoi umanitari, consegnare gli aiuti e rientrare. I rischi sono noti a chi parte: nel 2010 la Marina israeliana abbordò la Mavi Marmara, ferendo novanta attivisti e uccidendone nove. “Rompere l’assedio non è solo compito delle barche”, ricordano dal coordinamento italiano, “ma delle cittadine e dei cittadini che devono mettere pressione ai governi.”