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Guerra mondiale vinta assieme ma 80 anni dopo celebrata a pezzi

Firma della resa

Guerra mondiale vinta assieme ma 80 anni dopo celebrata a pezzi

Giornata della vittoria celebrata oggi in alcuni paesi dell’Europa occidentale, proclamata l’8 maggio 1945 a tarda notte, il giorno in cui gli alleati accettarono formalmente la resa incondizionata delle forze armate della Germania nazista, e quando a Mosca, più ad Est, era già il giorno 9. ‘Den’ Pobedy’ in lingua russa, celebrata il 9 maggio. Poi la giornata della vittoria sul Giappone il 14-15 agosto.

Il fuso orario anticipa le attuali rotture politiche

La resa fu firmata nella tarda sera dell’8 maggio 1945 (già il 9 maggio a Mosca), dopo la capitolazione concordata in precedenza con le forze alleate sul fronte occidentale. Il governo sovietico annunciò la ‘Grande guerra patriottica’ in Unione Sovietica’, la mattina del 9 maggio, dopo la firma della resa avvenuta a Berlino.

Festa della Vittoria e Giorno dell’Europa tra Parigi e Mosca

Il 9 maggio è una giornata cruciale per Mosca e Bruxelles. Da un lato, la Piazza Rossa di Mosca palcoscenico di memoria dell’80esimo anniversario della sconfitta del nazismo: un momento di affermazione politica, un rito nazionale che riflette le ambizioni del Cremlino. Purtroppo, in un contesto internazionale segnato da tensioni, il Giorno della Vittoria continua a essere una celebrazione che divide e schiera. Mentre Putin celebra la vittoria sul nazismo, l’Europa festeggia oggi ‘l’unità e la pace’, mai precarie come in questa fase della storia.

Vittorie contrapposte

L’Europa dell’Unione e festeggia oggi le proprie radici nella «dichiarazione Schuman», discorso storico di Robert Schuman nel 1950 che pose le basi per la futura cooperazione europea, quest’anno ai suoi 75 anni. Se vent’anni fa, la Russia con Putin ospitava leader occidentali come l’americano George W. Bush, il francese Jacques Chirac, il tedesco Gerhard Schröder e l’italiano Silvio Berlusconi, oggi gli equilibri sono decisamente cambiati. Domani a Mosca a fianco di Putin ci saranno il cinese Xi Jinping, il bielorusso Lukashenko e il brasiliano Lula da Silva, insieme a Maduro, presidente del Venezuela, Díaz-Canel, Cuba, e Mahmoud Abbas, Palestina. Messaggio chiaro: Mosca non cerca più riconoscimenti dall’Occidente, ma rafforza i legami con alleati considerati strategici.

L’Ucraina cambia il Giorno della vittoria

Con l’invasione dell’Ucraina, il Cremlino traccia parallelismi tra il conflitto attuale e la lotta contro il nazismo. E Kiev ha preso le distanze da questa rappresentazione nel 2023, firmando una legge per spostare la commemorazione al giorno precedente, l’8 maggio, in linea con la tradizione europea. E Zelensky ha precisato che non potrà garantire la sicurezza dei funzionari stranieri che decidano di partecipare alla cerimonia russa: «Non possiamo essere ritenuti responsabili di ciò che accade sul territorio della Federazione Russa». Un segnale evidente della frattura politica che ormai domina il significato della festa.

Il Cremlino ha annunciato una tregua di tre giorni per la Festa della Vittoria, ma Kiev non l’ha riconosciuta, definendola una semplice «tregua da parata». In Crimea, la parata militare è stata cancellata per ragioni precauzionali, mentre a Mosca, in queste ore, almeno 105 droni sono stati abbattuti dalle difese russe.

Memorie alternative

Dieci anni fa su Famiglia Cristiana, l’allora vice-direttore Fulvio Scaglione scrive un articolo che più o meno diceva: «Cari Paesi occidentali che boicottate la parata con cui la Russia festeggia la vittoria sul nazismo, non vi rendete conto dell’errore clamoroso che commettete». Il boicottaggio arrivava dopo che i russi si erano ripresi la Crimea (passata nel 1954 dall’allora segretario generale del Pcus Nikita Krushev dalla Repubblica Socialista Sovietica Russa alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina).

«In realtà il boicottaggio veniva promosso da Paesi come Usa e Gran Bretagna che nel 2003 avevano invaso l’Iraq raccontando all’Onu e al mondo la panzana degli arsenali di Saddam Hussein pieni di armi di distruzione di massa, lanciando un’invasione che provocò, direttamente e indirettamente, la morte di centinaia di migliaia di iracheni (700 mila, secondo le valutazioni della rivista inglese Lancet). O dalla Francia, che nel 2011 partecipò ai bombardamenti sulla Libia e all’uccisione del dittatore Gheddafi con l’altra panzana delle fosse comuni e dei sanguinari mercenari africani, guidata del resto da quel Nicolas Sarkozy su cui prende una possibile condanna a sette anni di carcere per essersi fatto finanziare la campagna elettorale del 2007 da… Gheddafi».

08/05/2025

da Remocontro

Ennio Remondino

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