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Hawaii, la Pompei Usa del Terzo millennio

Hawaii, la Pompei Usa del Terzo millennio

Quasi cento morti nell’isola di Maui alle Hawaii, ma la conta dei morti è appena iniziata. Insieme al numero delle vittime crescono rabbia, dolore, e le polemiche sulla cattiva gestione dell’emergenza. Sino ad un anno fa il rischio di roghi del genere, alimentati dalle raffiche degli uragani e dalla persistente siccità, era stato classificato ‘basso’.
A Lahaina, la cittadina più colpita, quasi 3000 edifici distrutti. Danni per miliardi di dollari, ma quelli all’ecosistema sono ancora tutti da calcolare e manca ancora la stagione degli uragani.

Negazionisti silenti, in molti chiedono a Biden di proclamare una «emergenza climatica nazionale»

                                                             

Brucia tutto e niente ha funzionato

I devastanti incendi delle Hawaii, che hanno messo in ginocchio l’isola di Maui e semi-cancellato la città di Lahaina, stanno scioccando l’America: sembra una Pompei del Terzo millennio. Ed è già polemica politica, destinata a crescere. «Una catastrofe epocale», scrive il Wall Street Journal, perché mai nell’ultimo secolo, dopo le tempeste di fuoco che ciclicamente colpiscono le foreste Usa, si erano avuti tutti questi morti. La CNN chiede conto e ragione, alle autorità politiche, di una sovrana noncuranza. Eppure, dice il network televisivo, i documenti e le inchieste parlavano chiaro, fin dal 2014. Dall’epoca di Obama, per capirci che era anche originario di quelle isole, essendo nato a Honolulu. Ma, nonostante le richieste che partivano dal basso, la politica (tutta) ha fatto finta di non sentire. E adesso il Presidente degli Stati Uniti deve dare delle risposte, non solo in termini di aiuti immediati (quello lo sta già facendo) ma soprattutto dovrà chiarire le ragioni del fallimento dei piani di prevenzione.

L’Emergency Plane

La CNN ha subito pubblicato un documento scottante: “State of Hawaii Comprehensive Emergency Management Plane”, in pratica il rapporto del 2022 che rappresenta il “vademecum” della protezione civile americana in caso di calamità, nelle isole del Pacifico. Beh, per la CNN diventa un atto di accusa contro l’inerzia della politica. “Quando i funzionari delle Hawaii hanno pubblicato un rapporto lo scorso anno, che classificava i disastri naturali che più probabilmente minacciano i residenti dello Stato, tsunami, terremoti e pericoli vulcanici erano in primo piano. Vicino alla parte inferiore di una tabella con codice colore, l’agenzia statale per la gestione delle emergenze ha descritto il rischio di incendi per la vita umana con una sola parola, ‘basso’.

«Un anno e mezzo dopo, i catastrofici incendi che hanno travolto Maui e la storica città di Lahaina, sono già diventati il disastro più mortale dello Stato, in più di sei decenni».

La stampa Usa non fa sconti

A sua volta, il Wall Street Journal tira fuori un altro rapporto, che risale addirittura al 2014 e che anticipa profeticamente i rischi di incendi incontrollabili nell’area dell’isola di Maui considerata e della città di Lahaina in particolare. «I funzionari del governo erano stati avvertiti anni fa – titola il giornale – ed è davvero frustrante e straziante vedere che alcune cose si sarebbero potute fare». Il modello di prevenzione elaborato dalla Hawaii Wildfire Management Organization e proposto alle autorità statali competenti, prevedeva il diradamento della vegetazione vicino alle aree popolate, il miglioramento della capacità di risposta agli incendi e la collaborazione con i proprietari terrieri, per ridurre il rischio di sviluppare focolai. L’autrice principale del rapporto, Elizabeth Pickett, ha detto che la maggior parte degli obiettivi «non sono stati realizzati per mancanza di fondi o per la presenza di altre priorità».

Insomma, quasi 100 morti per l’indolenza e l’avarizia di una macchina amministrativa che, nei proclami della Casa Bianca, ha fatto della tutela dell’ambiente e della prevenzione dalle catastrofi climatiche un fiore all’occhiello?

Biden presidente a rischio

Se Joe Biden non vorrà precipitare ancora nei sondaggi (il suo ‘job approval’ è sempre poco sopra il 40%) allora deve darsi una mossa o, per lui, si prospettano tempi elettorali grami. Le Hawaii sono uno Stato-simbolo della ‘new-age liberal’, una specie di modello da copiare. O, almeno, lo erano. Perché la botta è stata forte. Alle Hawaii, tranne un piccolo interregno di otto anni, dal 1962 comandano i Democratici. Nella buona e nella cattiva sorte. E per ora, lo si è capito, non gira granché bene, perché agli ultimi due Governatori, di sicuro, la Casa Bianca dovrà chiedere qualche chiarimento.

La prima superpotenza del mondo, che con l’ambizioso piano ‘Build, Back, Better’ spenderà trilioni di dollari nei prossimi anni per la riconversione energetica e per l’ambiente, non può vedere i suoi connazionali morire bruciati, perché un banalissimo piano di protezione civile non ha funzionato.

In tutta questa tragedia, ciò che colpisce di più è l’improvvisazione e la faciloneria, dimostrate da chi dovrebbe rappresentare uno Stato, federato «nel governo più capace del pianeta». Ma è così?

La Pompei del nuovo impero

La descrizione della fuga degli abitanti disperati di Lahaina, che fa il Wall Street Journal, ricorda sinistramente le tragiche cronache delle ultime ore di Pompei, dopo la micidiale eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

«L’incendio ha colpito la città costiera così rapidamente e ha colto i funzionari così alla sprovvista che le sirene di emergenza non hanno suonato. Molti residenti, in preda al panico, non sono stati in grado di fuggire sull’unica autostrada intasata della città e hanno preso barche o si sono messi a nuotare per mettersi in salvo. Ammesso che fossero riusciti a scappare».