27/09/2025
da Il Manifesto
Bruno Montesano New York
Terra rimossa. La protesta di fronte al Palazzo di vetro
Migliaia di persone hanno attraversato Manhattan per chiedere la fine del genocidio a Gaza. Il corteo, partito da Times Square, termina davanti alla sede delle Nazioni Unite, dove il primo ministro israeliano ha da poco finito il suo discorso.
«Netanyahu non è benvenuto a New York, dovrebbe andare in galera» è uno degli slogan più frequenti durante la protesta. La sera prima alcuni attivisti si sono riuniti sotto il suo hotel a Lenox Hill per disturbare il suo sonno cantando. Una ventina di persone sono state arrestate.
La marcia di ieri, organizzata dal Palestinian Youth Movement, People’s Assembly Forum e dal Party for Socialism and Liberation, vede diversi blocchi al suo interno, dai veterani contro il genocidio, ai coreani per la Palestina, a quello dei lavoratori dei media, fino agli ambigui Naturei Karta che sfilano in testa e ad altri gruppi ebraici non ortodossi.
MANOLO DE LOS SANTOS del People’s Assembly chiede che l’Onu imponga l’embargo di armi a Israele e la espelli: «I criminali di guerra non dovrebbero essere accettati qui». Ma la cosa più importante, racconta al manifesto, «è che le persone stiano con la Palestina: i lavoratori italiani che hanno avuto il coraggio di scioperare sono un modello che dovrebbe ispirare i lavoratori ovunque». Francesca, del direttivo di Democratic Socialist for America (DSA), «l’associazione socialista e antisionista più grande degli Usa» a cui Mamdani era affiliato, spiega che DSA partecipa al corteo perché supporta il Palestinian Youth Movement. Nei mesi passati si è organizzata nelle comunità e nei posti di lavoro per cercare di bloccare il traffico d’armi, chiedere sanzioni e bloccare genocidio. «Come DSA abbiamo organizzato proteste nelle zone portuali per amplificare lo sciopero italiano. Per la prima volta dopo due anni si è riusciti a costringere alcuni governi a mandare navi a sostegno della Flottilla e smettere di vendere armi».
De Los Santos sostiene inoltre la proposta della Colombia di mandare una forza di interposizione a Gaza per garantire alla popolazione accesso a cibo e medicine – nel corteo ci sono molte bandiere colombiane. La forza di interposizione «non dovrebbe essere composta da truppe statunitensi o della Nato», secondo De Los Santos.
Il presidente della Colombia Gustavo Petro è intervenuto alla fine del corteo, con Roger Waters al suo fianco, cantando «El pueblo unido jamás será vencido» e «Viva Palestina». Petro partecipa oggi all’incontro della coalizione “The Hague”, che co-presiede, con Noura Erakat, Rula Jebreal e al ministro sudafricano Ronald Lamola per ragionare su come usare il diritto internazionale in difesa dei palestinesi.
NIDAAL del Palestinian Youth Movement afferma che «il riconoscimento della Palestina da solo non basta, servono azioni concrete contro Israele. In questi due anni, in tutto il mondo, centinaia di migliaia di persone – da New York al Marocco – sono scese in piazza per chiedere la fine del genocidio».
Dal palco, un attivista, Julian, insiste che l’autorità non risieda nel palazzo delle Nazioni Unite ma nelle strade. Tra gli slogan che si sentono «Stati Uniti, terrorista numero 1, giù le mani dal Medio Oriente», «mattone dopo mattone, muro dopo muro, Israele cadrà». Dal blocco di ebrei antisionisti si sente «Globalize the Intifada» – slogan con cui si è colpevolizzato Zohran Mamdani che è stato costretto a ritrattarlo – e «Fuck Chuck Schumer», il leader dei Democratici al Senato.
Carrie, israeliana del gruppo antisionista Shoresh, ritiene che non stia a nessuno dire ai palestinesi come debbano resistere. Un altro slogan che si sente dal palco è «La resistenza non è solo un diritto ma un dovere».
NELLO SPAZIO dedicato alle proteste vicino alle Nazioni Unite, oltre a varie altre proteste come quella della popolazione del Balochistan contro il governo centrale del Pakistan, ci sono alcuni gruppi sionisti. Separati da un corridoio di transenne e dalla polizia i due gruppi si urlano contro e minacciano di violenza fisica. A un certo punto passa Rabbi Shmuley, una sorta di influencer sionista noto negli Stati Uniti, che riprende con un telefono i manifestanti per Gaza.
La mattina c’era stata una veglia silenziosa di ebrei e israeliani contro la guerra e per il ritorno degli ostaggi – tra le organizzazioni partecipanti la sezione di New York di Standing Together, gruppo pacifista di palestinesi e ebrei israeliani.