Ambiente - Notizie della Toscana
In Toscana il distretto cartario di Lucca contribuisce all’inquinamento da Pfas (composti poli e perfluoroalchilici) di numerosi corsi d’acqua.
Se la contaminazione da queste sostanze di sintesi, pericolose per la salute umana, nei distretti tessile, conciario, cuoio e florovivaistico era già stato evidenziato da uno studio del 2013 del Cnr-Irsa e dai rilievi annuali dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, la questione non è mai stata approfondita dagli enti locali preposti, nonostante l’impiego di queste molecole nell’industria della carta sia ben noto. Dopo le indagini in Lombardia e in Piemonte e a pochi giorni dalla Giornata mondiale dell’acqua, Greenpeace Italia pubblica i risultati di campionamenti indipendenti effettuati a gennaio 2024, anche nel distretto cartario. Qui le concentrazioni più alte sono state trovate nelle acque reflue del depuratore Aquapur. Anche nel torrente Brana, che attraversa il settore florovivaistico, si registra la presenza di Pfas, ma non raggiunge i livelli registrati in altre aree, in diversi distretti pure analizzati dalla ong. “Il quadro di contaminazione che emerge dalle nostre analisi è tutt’altro che rassicurante. Alcuni casi sono ben documentati da almeno dieci anni, ma la Regione Toscana non ha mai affrontato seriamente il problema: manca infatti un provvedimento sugli scarichi industriali” dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.
Cosa si sapeva finora – Nel 2013 un’indagine del Cnr-Irsa aveva evidenziato diverse criticità sulla contaminazione ambientale da Pfas in Toscana. Già più di dieci anni fa erano emerse contaminazioni rilevanti riconducibili al distretto tessile di Prato e conciario della provincia di Pisa. I monitoraggi periodici effettuati dall’agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana negli anni successivi non solo hanno confermato i dati rilevati dal Cnr, ma hanno anche permesso di ricostruire quanto e dove sia diffusa la contaminazione nella regione. Stando ai dati raccolti nel 2022 da ArpaT, i Pfas erano presenti nel 76% delle acque superficiali, nel 36% delle acque sotterranee e nel 56% dei campioni di biota (animali) monitorati.
A valle, concentrazione quasi sempre maggiore, anche fino a 20 volte – In quasi tutti i campionamenti eseguiti dalla ong, sono stati effettuati prelievi a monte e a valle degli impianti di depurazione industriale, quello del consorzio Torrente Pescia e l’Aquapur per il distretto carta, il depuratore di Aquarno che scarica nell’Usciana per il distretto conciario, il depuratore Cuoio-Depur, che scarica nel Rio Malucco (affluente dell’Arno) per il distretto del cuoio, i fiumi Ombrone e Bisenzio per il distretto tessile e il torrente Brana per quello florovivaistico. Dal confronto dei dati, per quelli sui campionamenti a valle sono spesso emersi notevoli incrementi di contaminazione. Nel fiume Ombrone, la concentrazione a valle del distretto tessile risulta circa 20 volte superiore rispetto a monte, mentre nel Rio Frizzone – a valle del depuratore Aquapur – la presenza di Pfas aumenta di circa 9 volte rispetto a quella a monte. Incrementi significativi si registrano anche a valle del depuratore Aquarno che si immette nel canale Usciana.
I risultati delle analisi – Due i tipi di analisi eseguite in laboratorio, l’analisi ‘target’ che permette di misurare la concentrazione di 57 singole molecole e l’analisi di Pfas totale, con una tecnica (Adsorbable organic fluoride) che consente di misurare la presenza di fluoro organico e quindi, con un buon grado di approssimazione, una stima di tutti i Pfas (oltre 10mila molecole) non misurabili singolarmente. L’Aof ha evidenziato le contaminazioni più preoccupanti nel Fosso Calicino, a valle di uno dei depuratori del distretto tessile di Prato, quello di Calice, 4.800 nanogrammi a litro, seguito dal canale Usciana, a valle del depuratore Aquarno (4.500 nanogrammi a litro), quindi distretto conciario, ma anche nel Rio Frizzone, a valle del depuratore Aquapur (3.900 nanogrammi a litro), a Porcari. Ossia, nel distretto cartario. I risultati dell’analisi ‘target’ hanno mostrato le concentrazioni più elevate nel Rio Malucco, a monte e a valle del depuratore Cuoio-Depur (rispettivamente 290 e 223 nanogrammi a litro per la somma di tutti i Pfas monitorati), nel distretto del cuoio e, anche in questo caso, nel Fosso Calicino che riceve i reflui del depuratore Calice, nel distretto tessile (241 nanogrammi/litro). Qui, in particolare, sono state riscontrate elevate concentrazioni di Pfba e Pfbs (superiori ai 50 nanogrammi/litro), PFHxA e PFOA. Anche i quantitativi misurati nel fiume Ombrone a Carmignano, sempre a valle del distretto tessile, mostrano concentrazioni elevate (116,5 nanogrammi/litro). Non molto maggiori, però, dei livelli misurati nel Rio Frizzone, a Porcari, nel distretto cartario. Qui, a valle dello scarico del depuratore Aquapur, le concentrazioni sono pari a 107,6 nanogrammi a litro. In generale, nella maggior parte dei casi in cui si sono riscontrate alti livelli di contaminazione da Pfas, queste sono riconducibili a composti a catena corta, come Pfba e Pdbs (sostitutivi nei processi industriali di Pfoa e Pfos), la cui struttura molecolare – più corta, più mobile e meno degradabile – conferisce a queste sostanze una minore capacità di accumulo nell’uomo e negli animali, rispetto a molecole come Pfoa e Pfos, ma una maggiore persistenza nell’ambiente.
Il ruolo del settore cartario – “Partendo da alcuni dati della Food and Drug Administration degli Stati Uniti è stato stimato che una cartiera può emettere tra 40 e 100 chilogrammi di Pfas al giorno” spiega Greenpeace. Uno studio recente condotto in Norvegia, invece, ha evidenziato come queste molecole siano presenti in diversi prodotti in carta, sia vergine che riciclata. Eppure, in questo settore, soprattutto per gli imballaggi a contatto con gli alimenti, esistono già numerose alternative ai Pfas, come dimostrano i dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e le recenti iniziative legislative in Danimarca che, tra le altre cose, insieme a Germania, Paesi Bassi, Svezia e Norvegia, ha presentato una proposta sulla restrizione della produzione, dell’immissione sul mercato e dell’uso di Pfas in Unione europea. Greenpeace invita la Regione Toscana ad attivarsi non solo per estendere i monitoraggi ambientali ad altre sostanze del gruppo dei Pfas, ma anche a dotarsi, nel più breve tempo possibile, di un provvedimento che vada a limitare le immissioni inquinanti dei numerosi settori industriali coinvolti, anche considerando la forte vocazione manifatturiera della regione. “È necessario – conclude la ong – che le Asl avviino al più presto indagini sulle acque potabili, soprattutto nelle aree in cui si registrano elevati livelli di contaminazione ambientale”.
19/03/2024
da Il Fatto Quotidiano