Una delle prime conseguenze dell’elezione di Trump presidente Usa si vedrà a Baku, Azerbaijan, alla 29esima conferenza delle Nazioni Unite per il contrasto al cambiamento climatico (COP29), che durerà sino al 22 novembre. Gli Stati Uniti saranno ancora rappresentati dall’amministrazione Democratica di Joe Biden, ma le trattative internazionali saranno inevitabilmente condizionate dalla promessa di Trump di ritirare di nuovo il paese dall’accordo di Parigi del 2015, come aveva già fatto durante la sua prima presidenza.
Trump negazionista
Trump ha posizioni negazioniste sulle cause del cambiamento climatico, che definì una «truffa della Cina», e tra il 2017 e il 2021 eliminò più di cento provvedimenti in favore dell’ambiente introdotti prima della sua presidenza. Durante la campagna elettorale aveva detto che avrebbe cancellato le politiche di Biden per ridurre le emissioni causate dai trasporti, dalla produzione di energia e dal settore dei combustibili fossili.
A tutto petrolio: ‘trivella, baby, trivella’
Ha anche detto di voler favorire un aumento della produzione statunitense di petrolio e gas naturale, che sono già ai massimi storici. «DRILL, BABY, DRILL», ovvero «TRIVELLA, BABY, TRIVELLA», per lo sfruttamento delle risorse petrolifere statunitensi, è stato uno dei motti elettorali di Trump. I Repubblicani del resto e certo non a caso, hanno beneficiato della stragrande maggioranza dei fondi investiti dalle aziende petrolifere americane per queste elezioni: più di 180 milioni di dollari, secondo l’osservatorio OpenSecrets.
Basta cooperazione internazionale Onu
Trump inoltre –rileva il Post-, è sempre stato contrario al processo di cooperazione internazionale sugli effetti del riscaldamento globale, quello che da 29 anni viene portato avanti con le conferenze dell’ONU. Ha descritto come «orrendamente ingiusto» l’accordo di Parigi su cui attualmente si basano gli impegni dei paesi del mondo (solo l’Iran, la Libia e lo Yemen non ne fanno parte) per ridurre le emissioni di gas serra e ha confermato che revocherà nuovamente la ratifica dell’accordo da parte degli Stati Uniti non appena si sarà insediato come presidente.
Prima di uscire, attesa di un anno
Una volta richiesta, l’uscita effettiva dall’accordo richiederà un anno. Dopo di che gli Stati Uniti non dovbranno più presentare iani per la riduzione delle loro emissioni, i “Contributi determinati su base nazionale”, che i paesi firmatari di Parigi dovranno aggiornare entro febbraio per i prossimi dieci anni. Finora gli Stati Uniti si sono impegnati a dimezzare le proprie emissioni dai livelli del 2005 entro il 2030. Probabile che l’amministrazione di Biden presenti i nuovi impegni Usa prima dell’insediamento di Trump, ma uscendo dall’accordo di Parigi la nuova amministrazione potrà ignorarli e smantellare le politiche Demo che li avrebbero resi possibili.
Stop impegno di Parigi e peggio
In caso di ritiro dall’accordo di Parigi, gli Stati Uniti non dovrebbero più partecipare insieme agli altri paesi storicamente più ricchi e inquinanti all’impegno a prestare miliardi di dollari ai paesi in via di sviluppo per aiutarli a contrastare il cambiamento climatico nel proprio territorio, tema centrale durante la COP29 di Baku. Altra possibilità, che Trump provi a ritirare gli Stati Uniti dalla “Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici”. Il trattato in base al quale, dal 1995 vengono organizzate le COP sul clima, con cui i Paesi del mondo si sono impegnati a rendere stabile la concentrazione di gas serra e a fornire ogni anno una stima delle proprie emissioni nell’atmosfera.
Peggio di Trump ‘Project 2025’
Trump non ha mai detto di voler uscire dall’UNFCCC (la convenzione Onu), ma lo propongono alcuni gruppi politici che ne hanno sostenuto la campagna elettorale, come quello del ‘Project 2025’, curato dal centro studi conservatore Heritage Foundation. Prima dell’elezione Trump se ne era dissociato, ma fonti di Bloomberg dicono che i sostenitori di questa linea oltranzista hanno preparato una mobilitazione per influenzare Trump. Tuttavia, se la procedura per ritirarsi dall’accordo di Parigi è piuttosto semplice, quella per uscire dalla Convenzione Onu sarebbe più complicata perché la Costituzione Usa non dice se il presidente può decidere autonomamente il recesso da un trattato del genere.
Un freno sul fronte clima
Anche se Trump dovesse ignorare le proposte sul ritiro dalla Convenzione Onu sul clima, contro il contrasto al cambiamento climatico basterebbe il ritiro dall’accordo di Parigi. Gli Stati Uniti sono la prima economia del mondo e il secondo paese per emissioni di gas serra annuali (dopo la Cina) e il loro eventuale contributo alla lotta al riscaldamento globale è molto rilevante. Non solo per le loro politiche nazionali sul bilancio delle emissioni, ma anche per l’influenza che hanno su altri paesi del mondo nel convincerli ad adottare politiche di contrasto al cambiamento climatico.
Clima misurato in dollari
Gli esperti delle relazioni diplomatiche intorno al clima temono che l’abbandono della cooperazione da parte degli Stati Uniti escluda definitivamente la speranza che l’aumento della temperatura media terrestre si possa tenere sotto il limite di 1,5 °C rispetto all’epoca preindustriale, il più ambizioso degli obiettivi fissati con l’accordo di Parigi. Altri hanno opinioni meno negative. Le industrie legate alle fonti di energia rinnovabili e ai veicoli elettrici sono molto cresciute: la cosiddetta “transizione energetica” si è affermata in gran parte del mondo e oggi ci sono forti interessi economici che la sostengono.
Troppe rotture non pagano
Altro barlume di ottimismo, dopo che Trump ritirò gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi nel 2019 nessun altro paese del mondo ne seguì l’esempio, nemmeno i principali esportatori di combustibili fossili. Ma nessuno esclude che l’uscita degli Stati Uniti dalla cooperazione sul clima non spinga altri paesi a piani per la riduzione delle emissioni meno impegnativi. Si spera tuttavia che il resto del mondo continui a prendere sul serio il processo delle COP e in particolare che l’Unione Europea e la Cina, che con gli Stati Uniti sono i più grandi emettitori di gas serra, trovino un modo per far progredire le cose.
‘Finanza climatica’ avara
L’elezione di Trump probabilmente influenzerà le trattative della conferenza di Baku sulla la cosiddetta “finanza climatica”, i prestiti e le donazioni che i paesi sviluppati si sono impegnati a fornire ai paesi in via di sviluppo per ridurre le proprie emissioni di gas serra e adattarsi agli effetti negativi del cambiamento climatico. Gli Stati Uniti sono anche i più grandi azionisti della Banca Mondiale, che ha un ruolo molto importante nella finanza climatica: gran parte dei fondi che finora sono arrivati ai paesi in via di sviluppo è stata distribuita proprio attraverso istituzioni per la crescita economica.
Strategie economiche interne Usa
Trump ha già detto di voler cancellare l’Inflation Reduction Act (IRA), legge Biden da 740 miliardi che è stata la più ampia misura economica mai adottata nella storia degli Stati Uniti per combattere il cambiamento climatico. L’IRA prevede sgravi fiscali per la produzione di auto elettriche, la produzione di energia da fonti rinnovabili e le riconversioni di impianti inquinanti. Una revoca totale dell’Inflation Reduction Act avrebbe come effetto che tra il 2025 e il 2035 le quantità di energia eolica e fotovoltaica sarebbe inferiore del 17 per cento. In particolare ne risentirebbero i progetti per la costruzione di impianti eolici, particolarmente osteggiati da Trump.
L’industria ecologica contro
Ma non è detto che Trump provi a smantellare completamente l’IRA, dato che più di tre quarti dei nuovi progetti industriali annunciati nel primo anno della legge riguardano zone degli Stati Uniti in cui governano i Repubblicani, dice un’analisi del Financial Times. E non a caso, 18 deputati Repubblicani avevano scritto una lettera aperta allo speaker della Camera Repubblicano, per chiedere di non «ritirare prematuramente gli sgravi fiscali per l’energia» nel caso in cui alle elezioni di novembre il loro partito avesse ottenuto la maggioranza.
Clima sul mondo nonostante Trump
Contesto internazionale, anche se Trump procederà col ritiro degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi. Fin dal 2017, quando Trump si svincolò dall’accordo per la prima volta, esistono infatti delle organizzazioni di Stati, istituzioni di vario genere e città statunitensi (si chiamano U.S. Climate Alliance, America Is All In e Climate Mayors) che hanno partecipato alle COP e rappresentano quasi due terzi della popolazione statunitense e tre quarti del PIL del paese.
Secondo uno studio dell’Università del Maryland, anche se le politiche in favore dell’ambiente di Biden fossero revocate, gli stati e le città da soli potrebbero arrivare a una riduzione tra il 48 e il 60 per cento delle emissioni rispetto ai livelli del 2005 entro il 2035. Sarebbe un risultato inferiore rispetto all’NDC in vigore, ma vicino.
12/12/2024
da Remocontro