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Il capo militare degli islamisti, che sfugge da 30 anni alla cattura

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GAZA. È una icona, un mito vivente per tutti i palestinesi. Perché è sfuggito per decenni ai servizi segreti israeliani e per aver saputo trasformare un gruppo armato in una forza paramilitare.

Israele ha cercato di uccidere Mohammed Deif numerose volte tra il 2001 e il 2021. È di ieri l’ennesimo tentativo. Mentre scrivevamo, non era certa la presenza del capo dell’ala militare di Hamas, tra le tante vittime del davastante attacco aereo israeliano nella «zona sicura» di Mawasi. Anzi, Hamas continuava a smentirla. Se venisse confermata, per il movimento islamico sarebbe un duro colpo che però influirà in modo limitato sulla catena di comando del suo braccio militare. Potrebbe invece avere, per qualche tempo, riflessi sul morale dei combattenti. Deif non è solo il numero 2 di Hamas a Gaza, e uno stretto collaboratore del leader Yahya Sinwar. È una icona, un mito vivente per tutti i palestinesi. Perché è sfuggito per decenni ai servizi segreti israeliani e per aver saputo trasformare un gruppo armato in una forza paramilitare ben organizzata e disciplinata.

Mohammed Deif – il nome vero è Mohammed Masri – è nato nel 1965 ed è cresciuto nel campo profughi di Khan Younis, assieme a Sinwar. Di lui da anni non si hanno immagini. A gennaio Israele ha diffuso una sua presunta foto recente, ma nessuno l’ha confermata con certezza. Si ritiene che sia disabile a causa degli attacchi subiti. Israele ha bombardato la sua casa nel 2014, uccidendo la moglie e due figli. Il nome di Deif è noto dalla metà degli anni ’90, perché è stato prima il braccio destro del capo militare Yahya Ayyah, «l’ingegnere di Hamas», e poi, dopo l’uccisione di quest’ultimo a Gaza nel 1996, fu nominato comandante delle Brigate Ezzedin al Qassam, le unità militari di élite di Hamas. Nel corso degli anni, assieme al resto della struttura di comando della sua organizzazione, Deif oltre all’addestramento di migliaia di uomini in varie unità armate – almeno 25mila secondo alcune fonti –, tra cui la milizia Nukhba, ha organizzato a Gaza la produzione di armi, esplosivi e razzi di varia gittata. E ha supervisionato la costruzione di centinaia di chilometri di gallerie sotterranee note come la «metropolitana» di Hamas. Con Sinwar, Deif ha pianificato, organizzato per almeno tre anni e infine realizzato lo scorso 7 ottobre, l’attacco compiuto da Hamas nel sud di Israele (1.129 israeliani morti tra soldati e civili).

Se, come sostiene Hamas, Deif non fa parte delle molte decine di vittime del bombardamento israeliano su Al Mawasi, il suo mito crescerà ulteriormente tra i palestinesi. Il fatto che Hamas sia ben lungi dall’essere stato «sradicato» da Gaza – l’obiettivo dichiarato dal premier Netanyahu dopo il 7 ottobre – e che la sua milizia armata continui a contrastare da nove mesi, con azioni di guerriglia urbana, tra le macerie, uno dei più potenti esercito del pianeta, è un merito che viene attribuito a Mohammed Deif. Secondo alcuni resoconti, il numero di combattenti di Hamas è addirittura aumentato di mille palestinesi dall’inizio dell’offensiva israeliana grazie anche all’idea di «resistenza come unica soluzione» che Deif e Sinwar hanno diffuso tra i più giovani a Gaza. Ogni volta che Israele colpisce, spiegano gli analisti palestinesi, causando essenzialmente vittime civili, non fa altro che favorire il reclutamento di nuove forze all’interno di una organizzazione che, malgrado i colpi subiti, si dimostra ancora viva. Secondo la strategia di Deif e Sinwa di resistenza ad oltranza, se i combattimenti cessassero ora, Hamas potrebbe affermare di aver inflitto una sconfitta al potente esercito israeliano il 7 ottobre e poi di aver resistito per nove mesi, riuscendo a ottenere la liberazione di numerosi prigionieri politici palestinesi in carcere in Israele.

14/07/2024

da il Manifesto

Michele Giorgio

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