ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

Il carovita non molla la presa: mentre il governo mente, i cittadini stringono la cinghia

Il carovita non molla la presa: mentre il governo mente, i cittadini stringono la cinghia

Nel mese di maggio 2025 l’Istat ha registrato una variazione negativa dello 0,1% su base mensile e un aumento dell’1,6% su base annua dell’indice nazionale dei prezzi al consumo (NIC).

Una lettura superficiale dei dati potrebbe far pensare che l’inflazione stia rallentando, che la “tempesta dei prezzi” sia finalmente rientrata. Ed è esattamente questa l’interpretazione che il governo Meloni e i media al suo servizio hanno subito rilanciato con entusiasmo, come a voler dire al Paese: “Va tutto bene, potete tornare tranquilli a fare la spesa”.

Peccato che la realtà quotidiana delle classi popolari dica esattamente il contrario. La cosiddetta inflazione “percepita”, ovvero quella che tocca direttamente i consumi fondamentali, continua a galoppare. Lo dimostra un dato che vale più di mille dichiarazioni ufficiali: i prezzi del carrello della spesa — che include beni alimentari, per la casa e la persona — sono aumentati a maggio del 2,7% su base annua, in ulteriore crescita rispetto al +2,6% di aprile.

Altro che “rientro dell’inflazione”: qui si sta parlando di un aggravamento della condizione materiale di milioni di persone. Aumentano i costi di pane, latte, pasta, detersivi, saponi, generi di prima necessità. Aumenti che non sono compensati da alcun intervento strutturale sul piano dei salari, delle pensioni, delle politiche sociali.

Una propaganda lontana dai cittadini

Il governo Meloni racconta un’Italia che non esiste: quella di una ripresa ordinata, di un’inflazione “normale”, di famiglie che vedrebbero finalmente “respirare” il loro potere d’acquisto. Ma per chi vive del proprio lavoro, per chi è precario, per chi riceve una pensione minima, per chi è disoccupato, la vita reale è fatta di rinunce e di affanni quotidiani.

Lo stesso Istat parla di un’inflazione “acquisita” già pari all’1,3% per il 2025 nel suo complesso, e addirittura all’1,6% per la componente di fondo, quella che esclude le voci più volatili ma rappresenta la tendenza strutturale del sistema. È la conferma che siamo di fronte a un carovita permanente, non a una semplice fluttuazione temporanea.

I veri responsabili: Governo, Confindustria e grande distribuzione

La responsabilità politica di tutto questo è chiara: il governo non ha fatto nulla — e continua a non fare nulla — per tutelare i ceti popolari. Nessuna misura di controllo dei prezzi sui beni essenziali. Nessuna patrimoniale straordinaria per redistribuire ricchezza. Nessun aumento reale dei salari. Anzi: con il taglio del Reddito di Cittadinanza e l’attacco continuo ai diritti sindacali, l’esecutivo ha addirittura rafforzato il ricatto sociale, rendendo più ricattabili milioni di lavoratori.

Confindustria detta l’agenda, la grande distribuzione macina profitti e il governo obbedisce. Tutto il resto — i poveri, i precari, gli anziani, i disoccupati, i lavoratori poveri — viene semplicemente ignorato.

Extraprofitti: la grande rimozione del dibattito pubblico

In questo contesto, colpisce il totale silenzio — tanto del governo quanto della grande stampa — sulla questione degli extraprofitti. In questi anni, a partire dall’impennata dei prezzi dell’energia e dall’inflazione su scala globale, numerose imprese — dalle multinazionali del settore energetico alla grande distribuzione organizzata, fino ad alcune catene di logistica e servizi — hanno accumulato guadagni straordinari. Non per meriti produttivi o investimenti, ma per effetto diretto della crisi e della speculazione sui bisogni primari delle persone.

Questi extraprofitti non sono stati redistribuiti, né tassati in modo efficace. Al contrario, il governo Meloni si è ben guardato dall’introdurre una vera tassa strutturale e progressiva su questi guadagni: ha preferito continuare a tagliare il welfare, mentre chi ha speculato sui bisogni delle persone continua indisturbato a ingrassare.

È uno scandalo politico e morale: mentre milioni di persone faticano ad arrivare a fine mese, pochi gruppi industriali si arricchiscono grazie al carovita. Tassare gli extraprofitti dovrebbe essere un punto fermo in ogni programma politico che si dica minimamente giusto e popolare. Invece, è una parola tabù nel lessico del governo, della destra e purtroppo anche del centrosinistra.

Un altro modello è possibile, ma serve una rottura

Va detto con chiarezza: questa situazione non si affronta con piccoli aggiustamenti o bonus una tantum. Serve una vera rottura con il modello neoliberista. Serve una politica che metta al centro il diritto delle persone a vivere con dignità, non i profitti delle imprese.

Per questo rilanciamo con forza le nostre proposte: Salario minimo legale di almeno 10 euro netti l’ora; Scala mobile dei salari e delle pensioni, legata all’inflazione reale dei beni essenziali; Blocco dei prezzi su alimentari, affitti e utenze; Tassa strutturale sugli extraprofittiPatrimoniale vera sulle grandi ricchezze per finanziare il welfare pubblico; Pieno diritto alla contrattazione collettiva, contro ogni tentativo di precarizzare e silenziare il lavoro.

L’inflazione non è neutra, ma è un meccanismo attraverso cui le imprese difendono e aumentano i propri margini di profitto scaricando i costi della crisi sulle spalle dei più deboli. È una forma di guerra di classe dall’alto, contro cui bisogna organizzare una risposta altrettanto chiara, determinata e collettiva.

Una cosa è certa. Non ci salverà il mercato, né ci salverà il governo.
Ci salveremo solo noi, se sapremo ricostruire un fronte di lotta e di solidarietà popolare, un’alternativa politica e sociale che parta dal basso, dai bisogni reali, e dica finalmente basta a questo sistema di ingiustizia.

19/06/2025

Segreteria nazionale PRC-SE

 

share