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Il dibattito è pigro, la piazza malinconica. Ma la separazione va

Il dibattito è pigro, la piazza malinconica. Ma la separazione va

Politica italiana

31/10/2025

da Il Manifesto

Mario Di Vito

L'opera del fantasma. Ultimo sì del senato alla riforma della giustizia. Ora il referendum Meloni esulta soltanto via social e Forza Italia festeggia da sola

Presentato come un evento storico, quello in cui il senato ha licenziato una volta per tutte la riforma della giustizia, è stato in realtà il solito giorno della marmotta. Tutti scarichi a palazzo Madama, del resto alla quarta discussione sempre uguale su un testo che così com’è uscito dal consiglio dei ministri a giugno dell’anno scorso è arrivato al traguardo – nessuna modifica, manco una virgola -, un po’ sono terminate anche le cose da dire.

PRIMA dell’inizio dei lavori, il capogruppo di Forza Italia Pierantonio Zanettin si dichiara più preoccupato dalla liquidazione della Popolare di Vicenza da discutere in commissione banche che della riforma «epocale» della separazione delle carriere dei magistrati. Persino quelli dell’opposizione parlano d’altro. Si è capito che la vera partita si giocherà al referendum, e il momento delle dichiarazioni di voto passa in maniera pigra, con la più o meno serena consapevolezza che accompagna ogni atto di prammatica.

PRENDIAMO l’ascensore per arrivare sugli spalti. Invece di salire, scende. Entra il ministro Carlo Nordio. Vede che dentro ci sono tre cronisti. «Timeo danaos et dona ferentes», esordisce virgiliano. «Certo, dal manifesto di dona non ne arrivano poi tanti… Sa che io ci ho anche scritto sul manifesto?». L’archivista è al lavoro, sin qui è venuto fuori solo un Mario Nordio esperto di questioni iraniane, ma la ricerca prosegue. «Ero molto amico di Valentino Parlato, sui magistrati la pensavamo allo stesso modo. Certo una volta il suo giornale era garantista…». Lo è ancora, in realtà, e per dirla con Parlato, lo è stato già «quando quasi nessuno in Italia lo era». Cioè prima che la difesa a spada tratta dei colletti bianchi ed eventuali relative nequizie venisse spacciata come culto dello stato di diritto.

IL DIBATTITO in aula è esattamente come ci si aspettava. Matteo Renzi è sempre più concentrato nel (facile) compito di dimostrarsi unico professionista tra i dilettanti. Annuncia l’astensione di Italia Viva, perché, spiega da noto fan della separazione delle carriere, «questa è una riformicchia». E il referendum? «Meloni fa come l’avvocato della barzelletta di Gigi Proietti. Se vince, ha vinto lei. Se perde, hanno perso gli altri». Anche La Russa dal banco di presidenza sorride. Quando poi attacca a parlare Roberto Scarpinato arrivano le uniche possibili note di cronaca. L’ex pm, ora nume pentastellato, ci va giù con il badile: «Berlusconi, Dell’Utri, Cosentino, Matacena, Previti, Galan, Formigoni, Verdini non erano fiori di giglio. Sono stati condannati perché esistevano le prove per la loro colpevolezza». E poi: «Fratelli d’Italia rivendica la propria continuità con l’Msi, un partito fuori dall’arco costituzionale». A questo punto Roberto Menia e Sergio Rastrelli abbandonano l’aula urlando il primo e più celebre slogan grillino: «Vaffanculo». La Russa fatica a gestire il rodeo. Gasparri grida. Richiamato all’ordine. Licia Ronzulli si alza e si agita. Richiamata all’ordine. Con aggiunta sconsolata: «La prego, la smetta. Lei è anche vicepresidente…». Intanto, sui banchi del Pd, Valter Verini, carta e pennarello, prepara un cartello: «Così giustizia uguale per pochi». Lo imita Susanna Camusso: «Viva la Corte dei conti».

ARRIVA il momento del voto e la maggioranza fa 112 su 103 voti necessari. Applausi. Abbracci. Gran pacche sulle spalle . Via social esce subito l’esultanza di Meloni: «Traguardo storico e impegno mantenuto». La sera al Tg1 metterà le mani avanti, tradendo una qualche preoccupazione: «Il referendum non avrà effetti sul governo, arriveremo alla fine della legislatura». Auguri. Dai banchi di sinistra escono cartelloni a chiarire che la campagna è ormai iniziata e riguarda lei in persona: «No ai pieni poteri», si legge in bianco su sfondo rosso.

FUORI dal palazzo, intanto, la maggioranza si divide. Fratelli d’Italia dà appuntamento in piazza San Luigi de’ Francesi per «un punto stampa». Sulla corsia Agonale, all’ingresso di piazza Navona, c’è invece la manifestazione di Forza Italia. Tristanzuola. Silvio Berlusconi, a cui viene dedicata l’impresa, si sarebbe probabilmente arrabbiato. Per una cosa così lui avrebbe quantomeno fatto alzare un aereo nel cielo di Roma. Invece ci troviamo davanti a qualche decina di incravattati dietro uno striscione («Grazie a Forza Italia una giustizia giusta»), con poche bandiere al vento e molte abbandonate per terra. Che malinconia. Due aste reggono un’effigie del caro vecchio leader. A occhio l’annata è compresa tra il 2008 e il 2010. Pare un po’ un santino, e in effetti Adriano Galliani parla apertamente di «intervento da lassù». Il miracolo della separazione delle carriere. Nel pomeriggio Marina darà la sua benedizione: «È la vittoria di mio padre» e della sua «forza, coraggio, determinazione e, purtroppo, anche sofferenza». Il meglio, comunque, lo offrono i turisti che guardano incuriositi e non capiscono. Però si fermano.

QUANDO all’ora di pranzo lo spettacolino per pochi intimi finisce, alcuni dei passanti cercano di accodarsi ai senatori che rientrano per prendere posto al ristorante di palazzo Madama. «Chissà se ci fanno entrare», si dicono tra loro. Andiamo oltre chiedendoci se tra i miracoli di giornata sia previsto anche quello che prevede di sfamare gli affamati. Mezz’ora dopo gli stessi passanti li incontriamo di nuovo seduti ai tavolini di un bar in piazza Sant’Eustachio.

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